L’ acqua dolce è sacra. È la prima cosa che ci dicono salendo a bordo.
Si spilla da un bottiglione sistemato in alto su un ripiano della cucina. Viene dal serbatoio, caricata a mano, niente plastica. Va dosata per l’intera settimana, non ci fermeremo per ulteriori rabbocchi.
Cominciamo subito a sintonizzarci sull’essenziale. Niente doccetta al primo bagno, e nemmeno al secondo, al terzo… Ci asciughiamo via il sale ed è fatta. Non serve altro. I bisogni che sembravano necessari non lo sono già più.
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Il corpo risponde gioioso. Vento, mare, sole, sta benissimo. La testa ci mette di più a staccare ma poi segue con altrettanta gioia e un po' di incredulità.
Il tempo in mare è sospeso. È diverso da quello scandito dai ritmi della terra. Non vogliamo scendere perché giù l’aria è pesante. Qui invece si oscilla, e danziamo anche noi leggeri come onde.
Gli spazi della barca sono spazi di relazione. Le cuccette multiple, la cucina, la zona timone, il tavolone al centro e i grandi cuscini dove ci rilassiamo a leggere, dormire, parlare, cantare. I corpi disposti a squadra per starci tutti.
C’è molta natura a bordo. Ci siamo noi - che pian piano lasciamo i panni di terra e ci trasformiamo in esseri di aria e di acqua. E poi c’è il legno - il grande protagonista.
Il legno fa la bellezza di questo veliero d’altri tempi. Lo scafo, la copertura, gli arredi, i letti, le panche respirano degli alberi canadesi che li hanno generati.
Una barca foresta. E noi i suoi abitanti temporanei.
Si fa tutto a mano, per scelta. Le vele, l'ancora, l'acqua, il gasolio, le manovre, il timone vanno con la forza umana, niente di automatico se non per l’emergenza.
Non siamo più abituati. È sorprendente vedere quanto ci siamo allontanati da certe fatiche, e quante ne facevano i nostri antenati. Quanto gli esseri umani fossero vicini alle cose: una comunione che non esiste più.
Se dovessimo costruire una nuova arca che ci salva tutti, immagino questa. Scorre dolcissima sull’azzurro calmo. Silenziosa, ci purifica.
Il mare ci lava dentro e fuori.
Quanto tempo era che non si trascorreva un tempo così, tra amici. Ampio e vuoto. Senza scadenze, tutto per noi, per ciascuno e per le relazioni. Non ci par vero. Siamo sempre ingaggiati, lavoratori, connessi.
Invece sull’arca no, siamo liberi.
Si chiama Mahayana. Nella tradizione buddhista, è il vascello che conduce all'illuminazione. Il suo capitano è un velista e un meditatore zen. Lo incontriamo la mattina presto a respirare sul cuscino, la faccia rivolta al nuovo giorno.
Ha un progetto illuminato: informare, educare, preservare, difendere il mare dalla plastica e aiutare la ricerca scientifica. È una barca impegnata, non una barca qualunque.
Se ti fa piacere conoscere la Mahayana, scrivimi che ti metto in contatto oppure vai qui: https://www.thebluedreamproject.org
Stasera il vento si fa sentire, e spunta una luna magnifica tra le nuvole. Poi sempre più chiara nel cielo chiaro. Aspettiamo la cena, un gruppetto di noi è giù nell'antro a cucinare. A turni, confezioniamo pranzetti deliziosi.
La comunità galleggiante si muove all' unisono. Siamo arrivati spaiati, dispersi. Quassù ci siamo riuniti.
Nell'arca ci portiamo la fratellanza, la manualità, il lavoro comune, l'ozio, i libri, le parole alate, la libertà della mente aperta e dei corpi nudi.
Grazie al nostro amico Tommaso per le foto meravigliose, scattate in questi giorni tra l'isola d’Elba e la Corsica.
Bellissima esperienza Cristiana.. l'ho letto tutto con la pelle d'oca, immaginando di essere in barca con voi 😌
Belloooo, buon viaggio!