Abitare poeticamente il mondo
Proprio adesso, nello smarrimento e nel fuoco che stiamo vivendo
«Pieno di merito, ma poeticamente abita / l’uomo su questa Terra.»
Così dice il grande poeta tedesco Friedrich Hölderlin (1770-1843). Quanto l’essere umano fa può essere guadagnato, e forse meritato con la propria fatica. Ma questo non rivela la sua profonda essenza. Il suo fondamento è poetico, intendendo la poesia non come un ornamento superfluo o un’ attività riservata a pochi, bensì un’apertura originaria, un essere toccati dalla vicinanza delle cose. E questa relazione, naturale e, insieme, spirituale, con la Terra non è un merito ma un dono che ognuno di noi ha, e che si può vivere o non vivere.
Siamo gettati fra due incognite che non possiamo scegliere: la nostra nascita e la nostra morte. Ma possiamo scegliere come abitare il tempo che ci è dato.
E’ una riflessione molto attiva in me in questo periodo. Come esprimere noi stessi qui, come essere pienamente umani e pienamente terrestri. Non c’è scissione fra queste due dimensioni: il rapporto col mondo è costitutivo.
Abitare poeticamente il mondo è anche il titolo di un piccolo libro di Christian Bobin (1951-2022). Ho incontrato la sua scrittura intensa e delicata e me ne sono innamorata. Come ci si innamora di qualcuno in cui ci riconosciamo, che sa esprimere quello che noi non riusciamo, che ci sorprende: avevamo proprio bisogno di quelle sue parole per capire dove camminare.
Abitare poeticamente il mondo non è un’ingenuità filosofica, ma piuttosto una necessità. Potremo quasi definirlo un atto di resistenza, proprio adesso, nello smarrimento e nel fuoco del nostro tempo.
Bobin ci guida nella comprensione di questa via.
Abitare poeticamente il mondo significa agire con cura e delicatezza, come se la salvezza dipendesse anche solo da un nostro piccolo gesto quotidiano. Dissotterrare la bellezza di uno sguardo, di un filo d’erba, di un canto di pace, quando sono ricoperti di macerie, come fanno i poeti di Gaza. Liberare il linguaggio, sempre più ridotto, sempre più funzionale, sempre più violento e innalzarlo all’altezza che gli spetta, scegliendo parole misurate di bene e di giustizia.
Non considerare il mondo un estraneo, uno straniero di cui avere paura, diffidenza. Ma un amico a cui accompagnarsi, da consolare, comprendere, criticare, certo, anche aspramente, ma senza mai smettere di amarlo.
«Abitare poeticamente il mondo si oppone ad abitarlo tecnicamente.» Abitarlo in modo sentimentale e non freddamente strumentale. Accoglierlo in tutte le sue contraddizioni e fragilità, curarlo, non usarlo, abusarlo. Non manipolarlo ai nostri fini, ma contemplarlo, perché la poesia, così intesa, è anzitutto contemplazione.
«Contemplare è un modo di prendersi cura. E’ demolire tutto ciò che in noi assomiglia a un’avidità, o anche a un’attesa o a un progetto. Guardare e commuoversi per l’assenza di differenza tra ciò che vediamo e ciò che siamo […] C’è qualcosa della soave tirannia della tecnica che comincia ad essere sconfitto con un istante di pura contemplazione che non chiede nulla, non cerca nulla, nemmeno una pagina di scrittura.»
Noi occidentali abbiamo dimenticato la parola contemplazione, che invece oggi ci viene in soccorso. Deriva dal latino contemplari, cioè attrarre nel proprio orizzonte, osservare - originariamente il volo degli uccelli - entro uno spazio circoscritto, il templum, il recinto sacro. Ciò che cade all’interno del nostro sguardo è allora sacro, e come tale va custodito e preservato.
Abitare poeticamente il mondo significa allora essere passivi, accettare le cose così come sono? Tutto il contrario.
Passività è l’assuefazione alla violenza quotidiana, vicina e lontana, alle macerie dei diritti. E’ cedere alla retorica distruttiva del “non funziona niente” e il mondo va in malora. E’ la deresponsabilizzazione di fronte a ciò che accade, tanto io che posso farci. E’ l’indifferenza del chiudermi nel mio mentre fuori brucia.
Ben più difficile e impegnativo è sottrarsi alla logica contagiante della guerra, resistere nella propria umanità, credere nella umanità degli altri, e rimanere affezionati al mondo nonostante tutto.
La poesia è un istante di tregua, dice Bobin. In cui anzitutto noi posiamo le armi. Non soltanto gli eserciti hanno le armi, anche noi le portiamo al nostro interno, nel cuore, pronti a imbracciarle a ogni provocazione.
«Abitare poeticamente il mondo sarebbe forse prima di tutto guardare pacificamente, senza l’intenzione di prendere […] In questa incessante lotta che caratterizza il mondo detto moderno, i contemplativi sono i guerrieri più resistenti. Sono loro forse che potranno toglierci d’impiccio. Occorre solo che ciascuno si rimetta a fare ciò che deve fare, nel modo più semplice. La poesia del fornaio è il suo pane.»
E chi sono i poeti? Non soltanto chi scrive, dipinge, gli artisti. Ma una «tribù dispersa» di chi è disponibile a non ritirarsi e ad aprirsi alla meraviglia di ogni giorno. Non di fronte a un bel mare azzurro o a un panorama di montagne incantate nel tramonto. Non in viaggio o in un giorno speciale, bensì nella vita di ogni giorno. Essere poeti nella vita che viviamo, ecco un buon compito.
*Le citazioni sono tratte da Christian Bobin, Abitare poeticamente il mondo, AnimaMundi Edizioni, 2019.
Stamattina, l’alba sulla città, dalla mia finestra, mentre scrivo. Milano, 8 dicembre 2025.
Riflettendo su questi temi:
Amare, viaggiare, meditare
Rocce vulcaniche nella penisola di Shakotan, ovest Hokkaido, Giappone. Il torii (鳥居), il portale shintō posto sulla sommità, segnala che siamo in un luogo sacro. 9 agosto 2025.



