Australi in solitaria. Appunti da Rurutu
Rurutu è una delle cinque isole Australi, insieme a Tubuai, Raivavae, Rimatara e Rapa. Bulimica di mondo, cosa darei per vederle tutte, ma ci tocca sempre scegliere (2 maggio 2022).
A Rurutu con Teora.
Rurutu, il nome nella lingua locale significa "raggruppati, e avanti". Un programma, che in questo momento, servirebbe a noi po-pa, i bianchi, come il pane da mangiare. Per secoli lontanissima da tutto, un paio di voli settimanali e una intermittente connessione a internet collegano oggi la piccola isola al resto del pianeta.
Su di me - irrimediabilmente attratta dal più isolato, dal più autentico - questo remoto arcipelago esercita un'attrazione fatale al solo vederlo sulla carta, o meglio, al non vederlo affatto, minuscolo e disperso com'è nell'immenso Sud Pacifico.
Nei viaggi di questi mesi, sono già entrata in contatto con luoghi simili. Sembrano impossibili, e poi, quando ci arrivo, trovo un mondo, un micromondo organizzato secondo antichissime tradizioni, e al tempo stesso familiare, proiettato in qualche modo verso una difficile modernità.
Sarà che mi sto abituando, anno dopo anno, a stare, a vivere e lavorare ovunque; sarà che mi affido dolcemente, senza paura né pregiudizi, ai luoghi e alle persone che mi capita di incontrare. Mi ambiento subito: entro nelle cose con una certa disinvoltura.
A 600 km a sud di Tahiti, verso l'Antartico, siamo in un'altra Polinesia, che non si vede nelle cartoline, di oceano puro, montagne, agricoltura. L'ho già conosciuta la settimana scorsa a Tubuai, l'isola degli ammutinati del Bounty - incredibile a pensarci -, da dove provengo. L'inverno australe sta arrivando e porta basse temperature, vento e onde alte fino a sette metri.
Tra un po' arriveranno anche le balene, che qui trovano le acque giuste per partorire e accudire i piccoli Mi dicono che se ne vedono a decine dalla strada: la mamma si mette tra l'oceano e la barriera corallina, il balenottero nel mezzo, protetto. Roba da tornare.
Ma c’è un ma. Una ragazza pilota di motoscafo mi trasmette una nota di malinconia. Nella saison balènes i turisti non si accontentano, vogliono andare vicino, sempre più vicino, impazziscono per una foto. Spero che le balene non vengano più, mi dice, spero proprio che non vengano più.
Al momento i turisti sono davvero pochi a Rurutu come già a Tubuai, e questa particolare situazione mi porta ad incontri interessanti con la gente di qui. Responsabili del sindacato scuola in trasferta da Tahiti, il giudice venuto a supervisionare le elezioni presidenziali - da queste parti ha vinto Macron -, le famiglie che gestiscono le deliziose pensioni dove alloggio. Le rare persone che incrocio per strada passeggiando alla mattina in un'isola all'apparenza deserta. Ho l'impressione che faccia piacere anche a loro chiacchierare un po' con un volto nuovo.
Giuliette è molto coinvolta, è stata consulente pedagogica, promuove la lingua e la cultura rurutu, e finalmente, da due anni, ci sono lezioni bilingue. Non è facile, ma ci si prova. Fa di tutto perché i suoi nipoti conservino le tradizioni, culinarie, comunitarie, spirituali. Perché non dimentichino.
Il colonialismo francese a Rurutu ha prodotto uno sterminio: in meno di tre anni le malattie e i soprusi europei hanno ucciso i suoi 25 000 abitanti, riducendoli a 300. È soltanto grazie a un coraggioso capo, partito con la piroga a cercare aiuto, che il popolo è sopravvissuto.
Il genocidio di Rurutu, nessuno lo studierà, come chissà quanti altri che sappiamo appena.
Ho il privilegio di avere una simpatica guida tutta per me, che mi accompagna in cammino per gli impervi sentieri dell'isola. Teora, padre di quattro figli, conosce ogni angolo del paradiso dove ha sempre vissuto ed è molto fiero di mostrarmi tanta bellezza. E per un prezzo davvero modesto.
Con forza e pazienza conduce le mie vertigini sulle alte falesie ad ammirare uno degli spettacoli più emozionanti che si possano immaginare: grotte calcaree scolpite dall’acqua, emerse 12 milioni di anni fa, quando l'isola si è letteralmente sollevata dagli abissi marini, caso unico in Polinesia.
Teora, che in rurutu significa "la vita". E, in effetti, questa è proprio la vita.
Mentre scrivo respiro il profumo dei fiori e della terra tutto intorno. Il vento soffia le onde su in alto, nel cielo cobalto. Pazzi europei, penso, ieri come oggi. Ma noi, noi sapremo salvarci?