Cremona, andar per tombe
Mi capita spesso nei miei giri di visitare i cimiteri. Sono luoghi di storia, di arte. Ne ho visti di enormi, di piccoli, di antichi, di militari, di drammatici, di remoti, di bellissimi.
Mi capita spesso nei miei giri, da sola o in compagnia, di visitare i cimiteri. Sono luoghi di storia, e spesso persino di arte. Soprattutto raccontano molte storie che mi piace immaginare, ricostruire.
Ne ho in mente alcuni ubicati in luoghi spettacolari, a picco sul mare o sulla cima di una montagna. Ne ho visti di enormi, il più grande a Koyasan, in Giappone, con le sue 200 000 sepolture, e di piccolissimi, con le tombe di famiglia sistemate nel giardino di casa, a Tahiti come nelle campagne intorno a Belgrado.
Nel mio repertorio ce ne sono di antichi e bellissimi, il cimitero ebraico di Praga; di militari, austeri e grandiosi, come quelli monumentali dedicati ai caduti del Commonwealth in Australia e in Nuova Zelanda; di drammatici, primi fra tutti quelli della Bosnia Erzegovina; di strani e remoti, come quelli sperduti nella steppa mongola.
Ogni popolo ha il suo modo di seppellire i propri defunti, con arredi di fiori coloratissimi e un tettuccio in legno a proteggerli dalla pioggia, in Polinesia; con offerte di cibo e candele in Giappone; con semplici croci bianche nei paesi anglosassoni. Ma ovunque i cimiteri sono luoghi di pace e memoria, raccoglimento e rispetto, e per questo amo camminarci in mezzo.
Mi ricordano ancora una volta che siamo tutti in un unico grande cerchio naturale: c’è chi arriva, chi va, chi è qui in questo momento. Una contemporaneità di anime e corpi che non si trova da nessun’altra parte. Esistenze di tutti i tempi che si intrecciano; è bello che uno spazio del nostro vivere sociale sia dedicato a questo intreccio, a questo cerchio. Non dobbiamo averne paura, e dobbiamo andarci ogni tanto.
Non avevo ancora visitato il cimitero di Cremona. Non che sia rinomato, in effetti; si trova appena poco lontano dalla stazione, dalla casa in cui abitiamo in questi giorni si arriva a piedi attraversando un ponte sulla ferrovia.
Andando per tombe, tra i vialetti, alcuni particolari monumenti scultorei attirano la mia attenzione. Madonne con lunghi abiti fiorati stile liberty; un aviatore, giovane e magnifico nel fisico; uomini ottocenteschi dai volti seri e avventurosi; figure femminili d’altri tempi; angeli a custodia di chi è scomparso prematuramente, busti di pittori, scultori, musicisti. Cremona è una città della musica e dell'arte e celebra i suoi talenti.
Una cosa è chiara: anche in morte non siamo tutti uguali. Ci sono i ricchi e i famosi, e tutti gli altri nascosti nelle loro semplici dimore.
Provo a immaginare le vite, le vicende, alcune mi incuriosiscono.
Ferruccio Ghinaglia, per esempio. Il suo ritratto è elegante, ieratico, la figura bianca avvolta in un mantello e, sul retro, dalle fronde di un albero. Penso che piacerebbe anche a me riposare in pace accanto a un albero, come Ferruccio.
A un primo sguardo direi che è un artista, dalla posa studiata sembrerebbe un attore di teatro. Scopro invece che è tutt’altro, ma forse non mi sono proprio sbagliata, le persone, si sa, possono essere più cose contemporaneamente.
Studente del IV corso del Regio Collegio Ghislieri di Pavia, peraltro un’eccellenza della formazione ancora in funzione, “lottò sempre con armi civili per l’ideale che chiama ad amar fra loro i popoli del mondo”, recita la lapide firmata dalla famiglia. Ammazzato dai fascisti nell’aprile 1921, a 21 anni, nella stessa città in cui studiava.
Barbari assassini, lo avete ucciso, spezzato nel fiore: per le sue idee, il suo aspetto, il suo coraggio? Siete stati sconfitti. Qualcuno gli ha messo di recente un garofano rosso nella mano di marmo, risuscitando quel suo anelito di pace e libertà, mai sopito, mai morto. Mi commuove. Sei un eroe Ferruccio Ghinaglia, adesso ti conosco anch’io.
Poco più avanti, mi imbatto in un tipo affascinante e un po’ spavaldo. Si erge sulla sua altissima tomba, sembra in posa per una fotografia. Stivale a punta e pantalone a gamba larga, la mano in tasca in un atteggiamento disinvolto, il pastrano di pelliccia scostato sul gilet. Lo sguardo alto, un leggero sorriso soddisfatto.
Il ragioniere Annibale Barboglio si è spento a Buenos Aires il 13 dicembre del 1891. “La sorella Maria ne volle scolpita la diletta sembianza”, recita la lapide. E che cosa ci faceva il ragioniere a Buenos Aires? Annibale, devi essere stato proprio un bel tipo! Ti sei cacciato in qualche guaio laggiù ai confini del mondo, preso da chissà quali affari?
Lo saluto con ammirazione. In fondo ci ha provato, è andato lontano per cercare fortuna, una nuova possibilità. Sono sempre contenta quando qualcuno ci prova. Spero sia stato felice, la diletta sembianza ne ha tutta l’aria.
Dopo aver meditato a sufficienza sulla caducità della vita, ritorniamo verso casa alla nostra quotidianità.