Dall'atollo di Fakarava
Fakarava, arcipelago delle Tuamotu, Polinesia francese (2 aprile 2022).
Un rettangolo di mare, lungo 64 km e largo 20, racchiuso da un bordo roccioso colonizzato dalla vegetazione. Il più straordinario paesaggio marino che si possa immaginare.
Fakarava è un rettangolo di mare, lungo 64 km e largo 20, racchiuso a tratti da un bordo roccioso colonizzato dalla vegetazione: quel che si dice un atollo.
Appartiene all’arcipelago delle Tuamotu, la più grande catena di atolli del mondo, che copre un’area del Pacifico vasta come mezza Europa. La laguna centrale che ha riempito il vulcano sprofondato milioni di anni fa comunica con l’oceano attraverso due pass, due canali divenuti famosi per la ricchezza della fauna marina che vi transita.
Il suo nome originale è Havaiki, nelle leggende polinesiane, la terra che accoglie tutte le anime e dove queste si rincarnano negli esseri marini. Ne è derivato l'attuale Fakarava che risponde alla magnificenza del luogo: significa "la bellezza rara e il raro nella bellezza". Havaiki si chiama anche la signora proprietaria della pension famille dove alloggio e dove il wifi mi permette di comunicare, nonostante la distanza siderale che mi separa da tutto.
La prima cosa che colpisce arrivando è il lungo, scenografico pontile in legno che si sporge nel mare. A Fakarava si coltivano le perle e qui la famiglia gestisce la più antica farm dell’isola, risalente al 1989: più gli allevamenti di ostriche perlifere sono lontani dalla riva, più le loro rinomate perle grigio-azzurre sono preziose. È l’unica produzione locale, oltre alla copra di cocco.
Il turismo è diventato essenziale per far sopravvivere la piccola comunità di 800 persone che abitano sparse lungo l’atollo, ma anche qui sono tempi magri e gli avventori in giro sembrano ancora pochi.
Ci si muove soltanto in barca e ieri abbiamo fatto fatica a riempirne una per andare da nord, dove siamo, a sud. Ho avuto la fortuna di trovare un posto nel piccolo motoscafo: se si arriva fino qui, non si può perdere la passe di Tamakohue, un vero monumento, l’ambiente marino più spettacolare che abbia mai visto.
E dire che io non mi immergo, ma quello che si vede a occhio nudo nell’acqua trasparentissima o con una semplice maschera lascia senza fiato: coralli di mille colori e forme, pesci a branchi, distese di conchiglie. Mi ha divertito il Napoléon, una grande cernia verde così chiamata per la buffa forma che ricorda il cappello del generale francese (come non cogliere l'ironia verso i po-pa, i bianchi colonizzatori?).
Un po’ meno gli squali - mao in lingua tahitiana - che si spingono a riva nuotando in dieci centimetri d’acqua. Qui dicono che i piccoli pinna nera di barriera sono buoni, se non li disturbi vanno per la loro strada, sarà. Una certa impressione la fanno, ne ho incrociati almeno una decina. E' vero che si mantengono a una certa distanza dal nuotatore, e se si va in piccolo gruppo non c'è problema.
Ciò a cui bisogna porre la massima attenzione è piuttosto la delicatezza dell'ecosistema, una riserva naturale ma, a quanto apprendo, non protetta a sufficienza. La capienza massima del turismo sull'isola è di duecento posti, troppi, troppa pressione ambientale. L'acqua, derivata dalla pioggia e dalle falde sotterranee, non basta più. La presenza crescente di barche in laguna e le diffuse immersioni subacquee hanno ridotto negli ultimi anni la quantità di pesci nelle aree più battute. Dannosissime, oltre che pericolose, sono quelle notturne: un giochetto che andrebbe abolito.
Enoha, artista e guida naturalistica per piccoli gruppi, ci spiega tutto ed è molto agguerrito. E' necessario mettere dei limiti per preservare la bellezza rara e fragile di Fakarava. Non si dice di chiudere o di non fare le cose, ma di farle con misura e delicatezza.
Fakarava, emblema del mondo.
Oggi il tempo è cambiato repentinamente e l’azzurro scintillante ha lasciato il posto a un clima ventoso e carico di umidità. L’oceano entra forte nella laguna di fronte alla mia stanza e la marea è alta. Un evento che capita quattro volte all'anno.
Approfittando delle nuvole, trascorro la mattinata passeggiando nei dintorni e visitando il villaggio di Rotoava, il minuscolo centro dove si svolge ogni attività. Una manciata di case semplici e ben tenute, il bell’edificio della scuola primaria, un paio di spacci, e una deliziosa chiesa decorata con coralli, conchiglie e madreperla.
È difficile vivere qui, la grande bellezza alla lunga forse non basta nemmeno a chi ci è nato. Le opportunità sono poche ma qualcuno ci prova. Una coppia di giovani polinesiani ha aperto un laboratorio chiamato Teviru, "Eccellenza", e proprio un' eccellenza mi è parsa. Producono olio non trattato di Tamanu, miracoloso per la pelle, e olio di cocco vergine, quasi impossibile da trovare in commercio. L'eccellenza, trovare il modo di valorizzare le risorse del luogo senza danneggiarlo.
La natura è talmente travolgente che tutto il resto rischia di passare in secondo piano. Ma questa è anche una terra di antica saggezza che ha molto da dire a noi.
Vi lascio con il saluto tahitiano: Ia ora na! Che tu possa vivere una vita di luce.