L’ideologia della violenza
Il linguaggio, i gesti, le azioni, i provvedimenti emessi da T. in questa prima settimana dal suo insediamento sono spaventosi. Nel senso proprio della parola, fanno paura. Per l’aggressività e la minaccia che contengono e intendono trasmettere al mondo intero.
Siamo abituati alla violenza e alla guerra. Lo vediamo e lo subiamo ogni giorno questo conflitto mondiale a pezzi, come lo ha efficacemente chiamato papa Francesco. Il neopresidente T. ne è la massima espressione perché è portatore di una ideologia della violenza e intende costruire un sistema nazionale e internazionale fondato su di essa.
Ne sono vittime i diritti umani, la natura e tutte quelle istituzioni sovranazionali nate per contenere le contese fra gli Stati e coordinarne gli sforzi verso obiettivi comuni.
Ciò che succede negli Stati Uniti ci riguarda molto da vicino, come esseri umani e come cittadini perché la potenza di T. è in grado di condizionare pesantemente le politiche e la cultura dei deboli paesi europei, a cominciare dall’Italia, stretta alleata del neopresidente. E quindi le vite e i pensieri di ciascuno di noi.
Personalmente sono molto preoccupata e addolorata da queste prime bombe politiche lanciate da T. Mi limito ad elencarne alcune che mi colpiscono particolarmente, quali tracce di una strategia molto pervasiva e inquietante.
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Il ritorno della pena di morte
Non è mai sparita negli Usa ma T. la fa tornare in grande stile, ripristinando la pena di morte federale, che era stata messa in moratoria dal 2021. E’ questo uno dei primi ordini esecutivi e la sua applicazione diviene ben più larga di quanto sia mai stata fino a oggi. Potrà essere decisa infatti anche in casi di uccisioni degli agenti e per reati commessi in particolare, come viene sottolineato, da stranieri presenti illegalmente nel paese. Il Procuratore generale dovrà anche sorvegliare che gli Stati abbiano a disposizione sempre la scorta di farmaci che servono per le iniezioni letali ai condannati.
I migranti come prigionieri e terroristi
E’ di oggi la notizia che T. vuole trasformare il carcere di massima sicurezza di Guantanamo, sull’isola di Cuba, in un centro di prigionia per 30 000 migranti “irregolari” che non verranno rimpatriati. La prima immagine diffusa dai media su questo tema all’indomani del discorso di insediamento è stata una lunga fila di uomini messicani in manette destinati al rimpatrio forzato; oggi invece si sta procedendo con retate contro i migranti a New York, mentre al confine sud si rinforza la militarizzazione, con le conseguenze di respingimenti e uccisioni di chi prova a oltrepassarlo. Fanno eco la nuova legge anti-immigrazione approvata in Germania con l’appoggio dell’estrema destra e le deportazioni dei migranti in Albania a bordo delle navi militari italiane.
La deportazione delle persone
I migranti non sono gli unici a poter essere soggetti a deportazioni. Secondo T. si possono deportare interi popoli. Egli ha ribadito, infatti, la proposta di trasferire in Egitto e in Giordania i palestinesi di Gaza «che staranno meglio in altri luoghi non segnati dalla violenza» dopo che la Striscia è stata devastata da 15 mesi di bombardamenti israeliani. Il progetto di deportazione è incurante del fatto che i Gazawi stanno tornando a fiumi in queste ore nella propria terra, che intendono ricostruire le case «anche solo di fango e pietre» e che, d’altra parte, i paesi vicini non hanno nessuna intenzione di farli arrivare.
La repressione dell’identità di genere
«Da oggi esistono soltanto due generi, gli uomini e le donne». Così ha detto T. nel discorso di insediamento. Tutto il resto non è ammesso e anzi contrastato, dato che da ieri sono limitati gli interventi per cambio di sesso per le persone al di sotto dei 19 anni. Anche la lotta contro il «delirio transgender», come viene definito, è collegata all’ideologia di guerra: «Per garantire di avere la forza di combattimento più letale al mondo, libereremo il nostro esercito dall’ideologia transgender», così si è espresso il presidente. Parallelamente ha messo uno stop ai fondi di Stato per le politiche inclusive e di valorizzazione delle diversità.
«Trivella, baby, trivella»
Drill, baby, drill è il motto di T. sulle politiche energetiche negli Stati Uniti e a livello globale. Questo significa l’intensificazione dello sfruttamento del territorio per ricavarne combustibili fossili e un colpo mortale alle energie alternative (è stato bloccato l’eolico). Tutti i primi ordini esecutivi in materia ambientale vanno nella stessa direzione: ritiro dagli accordi internazionali di Parigi sul contrasto al cambiamento climatico, che non viene più riconosciuto come emergenza globale; riduzione dei finanziamenti per mitigare la crisi climatica nei paesi poveri; eliminazione delle norme di tutela che limitano le esplorazioni per i combustibili fossili, in particolare in Alaska, e l’estrazione di minerali e terre rare; fine dei sussidi per i veicoli elettrici.
Contro le organizzazioni internazionali
Il primo capo di Stato ad essere ricevuto dal nuovo presidente sarà a breve Netanyahu, sotto mandato di cattura internazionale per aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità, secondo quanto stabilito dalla Corte penale internazionale dell’Aja. Un atto di sfida all’organizzazione (di cui gli Usa non fanno parte) che protegge i diritti delle persone dai soprusi degli Stati, che arriva insieme all’annuncio del ritiro americano dall’Organizzazione mondiale della sanità e dagli accordi climatici e al misconoscimento dell’Unione Europea come interlocutore politico. La sfida all’UE è molto ampia, dato che, pur con tutti i limiti e le contraddizioni, è l’unico soggetto effettivamente impegnato in azioni concrete e provvedimenti di contrasto alla crisi climatica. Il messaggio è univoco e chiaro: non vogliamo vincoli né regole che limitino la nostra libertà di azione in tutti i campi.
Che cosa possiamo fare?
Intanto parlarne e tenere accesa la luce su quanto sta avvenendo, nella consapevolezza che si tratta di fatti molto gravi e lesivi della dignità delle persone, del bene comune, del patrimonio naturale.
E poi agire, ciascuno come può e secondo le proprie sensibilità, a livello individuale e sociale. Contrastando, anzitutto coi nostri comportamenti, il razzismo, la discriminazione, le logiche di guerra e di sfruttamento, delle persone come dei luoghi; portando avanti ideali di solidarietà, sostenibilità e fratellanza fra i popoli, sostenendo movimenti, organizzazioni e istituzioni che lavorano per la protezione dei diritti umani e la salvaguardia dell’ambiente.
Personalmente sostengo Medici Senza Frontiere e Greenpeace e partecipo attivamente a Servas, una rete per «l’amicizia globale» che considera il viaggio e l’ospitalità modi per costruire relazioni di pace e rispetto reciproco tra diverse culture. E’ poco? Sicuramente. Ma in questo momento non vedo una forza politica in grado di condurre una opposizione di massa a questo corso devastante. E non per questo rinuncio all’impegno individuale.
Infine, ma forse prima di tutto, non farsi scoraggiare, non soccombere alla paura, non cedere alla indifferenza o al senso di impotenza. Esserci, anche soltanto con la propria attenzione.