Svezia, la prima solitaria da nomade digitale
Bisogna sempre onorare il primo passo, pauroso e gioioso come il cambiamento che ne nasce.
Sigtuna, il paesino più antico della Svezia, sorge sulle rive del lago Malären. Un posto magnifico dove camminare nell'autunno.
Parto o non parto, parto o non parto?
Non riesco a decidermi. E’ ottobre e siamo nel pieno della produzione, cioè nella stagione lavorativa di massima intensità nell’editoria scolastica. Ma sono molto tentata da questa esperienza: partire in autunno anziché in estate, come ho fatto fino all’anno scorso quando ero ancora dipendente; partire per la Svezia; partire per la Svezia da sola.
Adesso che dopo vent’anni di casa editrice sono una lavoratrice autonoma ho la libertà di farlo, ma ho paura. Paura di non farcela, di mancare gli obiettivi, che sia un azzardo, una mattana. Che ansia partire in solitaria per andare lassù :-)
Eppure qualcosa mi spinge forte da dentro. Ho una voglia matta di provarci, e di assaggiare il freddo del Nord. E’ il momento giusto, non fa ancora un gelo pazzesco, i prezzi sono più bassi e c’è poco turismo rispetto ad altri periodi.
Ok, dai. Biglietto di sola andata per Stoccolma.
Ciao, benvenuta e benvenuto tra i Pensieri Nomadi 🌹
Se ancora non mi conosci, mi chiamo Cristina, vivo e lavoro viaggiando e lo racconto qui: www.pensierinomadi.it. Se ti fa piacere rimanere in contatto via mail, puoi iscriverti. Niente di commerciale, scambiare esperienze, visioni e sentimenti è lo scopo di questo blog.
Fa freddo?
Stoccolma mi dà il benvenuto con i suoi 8 gradi. Sbarco in aeroporto e vedo gente in maniche corte e senza calze. In metro sono l'unica vestita da Everest: scarponi da montagna, pantaloni da quasi-sci, pile pesante, giacca a vento, cappello con le orecchie, guanti… si vede lontano un miglio che provengo dal sud!
Trovo subito la strada per la casa di Anne, non proprio in centro ma in un quartiere vivace, pieno di biciclette e mercatini. Costa meno, e poi a me piace vivere come e dove vive la gente. Ho preso una stanza nel suo appartamento. Molto Ikea: accogliente, luminoso - le grandi finestre sono pensate per fare entrare tutta la luce che c’è -, letto in legno con un piumino morbido e colorato, un’ampia scrivania per lavorare. Quello che mi serve.
Appena entri, ti togli tutti gli strati. Fa caldissimo rispetto all’esterno: dentro in maglietta e fuori con lo scafandro. Questo sbalzo dentro/fuori - dentro le case, dentro i bar, dentro le biblioteche - mi accompagnerà per tutto il viaggio.
Mi ambiento. Anne è gentile e mi permette di usare un po’ la cucina anche se c’era scritto di no. Vado subito a fare la spesa: mangio il sushi del Baltico e sono davvero felice di essere qui.
Stoccolma, Anne, la biblioteca, l’ufficio-pasticceria
Già dal primo giorno mi alzo presto e lavoro. Sono concentrata, in un modo che non mi aspettavo. Avevo molta ansia di disperdermi, attratta da tutte le bellezze che mi sarei trovata intorno, e invece il contrario. La massima concentrazione in movimento è una sorpresa, e ancora oggi, dopo quasi sette anni di nomadismo digitale, quando mi fermo mi disperdo, quando mi muovo mi immergo totalmente in quello che faccio. Mi immergo per fare in fretta e poi riemergo per uscire a soddisfare le mie curiosità di viaggiatrice.
Non mi va però di isolarmi in casa a lavorare. Con una mezzoretta di cammino, raggiungo la “biblioteca reale”, che qui significa “civica”. Nessuno porta l’ombrello, e allora mi abituo anch’io a passeggiare disinvolta, incurante della fine pioggerella, come fanno tutti. Si esce, e quel che c'è, c'è.
Comincia dunque una scansione quotidiana di: biblioteca, passeggiate nella natura urbana - si, perché in centro e appena fuori è tutta una foresta, e mare, e sentieri perfetti -, gite fuori porta, giri serali col ferry pubblico. E’ molto suggestivo guardare dall’oblò mentre fuori fa freddo; così, di notte, mi girò la città.
Villaggetti intorno a Stoccolma. Sembrano finti ma sono veri.
Non uso nessuna guida turistica - è una scelta, non la uso mai - e non prendo informazioni prima. Mi lascio consigliare dalle persone che incontro e condure istintivamente dalle mie gambe. Avendo poco senso dell'orientamento, mi perdo continuamente ma scopro un sacco di cose non previste. Perdo la strada e trovo le sorprese: a me piace viaggiare così, se no non mi diverto.
Trovo, tra l’altro, elegantissime pasticcerie con tanto di salottini e poltrone in velluto in cui la gente va a lavorare. E’ qui che per la prima volta provo l’ebbrezza di essere una cosiddetta “nomade digitale”: fra le tante persone che nel mondo lavorano in giro adesso ci sono anch’io. Col caffè caldo e il mio pc, mi sembra che la testa voli in alto e ragioni in fretta. Il lavoro da allora ha assunto tutto un altro volto, diventando il mio inseparabile compagno di viaggio.
L’ultima sera Anne organizza una cena per me con i suoi amici. Prepariamo tutto per le 6 ma loro arrivano in ritardo: abitano fuori e un gruppo di renne ha bloccato la strada. Con noi c’è Nisia, una bella ragazza curda. La Svezia è stata uno dei primi paesi a concedere loro asilo politico. Mi racconta un sacco di cose del suo popolo, di Ocalan, di come lei lotti per la libertà. Insomma, bello, sono proprio nel posto giusto.
Elogio dell’ostello
Mi va di scoprire altre cose di Stoccolma, cambio quartiere, cambio biblioteca e cambio sistemazione. Prenoto un ostello: credevo di trovare l'impeccabilità svenska e invece incontro la gentilezza tutta mediorientale di Rehza. In Svezia su 10 milioni di abitanti più di 1 milione sono iraniani. Rezha non si può permettere una casa a Stoccolma e vive in ostello, dando una mano nella gestione. Diventiamo amici. La mia stanza è minuscola e lui riesce a procurarmi un microtavolo verde per lavorare.
Nel salottino dell'ostello si incontra di tutto. Un simpatico indiano programmatore è qui per lavoro. Mentre cuoce una pizza surgelata in una padella col manico in legno, sai, mi dice, noi in India non abbiamo gli ostelli e io non so come fare. Un ragazzo del nord vive nella foresta mi si è stufato di lavorare con gli animali ed è venuto qui per incontrare la gente e imparare l'inglese. Venerdì e sabato però balla il Foxtrot al suo paesello. Poi ci sono i solitari. Un ragazzo asiatico, impenetrabile, cucina nella cucinetta comune e fa tutto con gli auricolari. Mentre lui si fa delle prelibatezze a base di Kantarella, i funghi svedesi, io vado avanti ad aringhe, anche a colazione (sono economiche e proteiche).
Adoro l’ostello, concentrato di umanità.
Gotland, ormai l’incanto supera la paura
Da Stoccolma a Gotland, a est della penisola, compio un vero salto esistenziale. Ne ho provati tanti nei miei viaggi successivi, ma questo è stato il battesimo. Il clima si fa sempre più freddo e quando arrivo di sera sull’isola col traghetto ci sono praticamente soltanto io. Il tempo è cattivissimo, soffia all'impazzata e butta acqua di traverso. L’ostello è deserto. Ed eccomi qui da sola con me stessa. Era quello che volevo?
La mattina metto la testa fuori dalle coperte e realizzo di essere a Visby, antica cittadina anseatica: un salto temporale si aggiunge a quello esistenziale. Sotto questo cielo tempestoso, è Medioevo pieno. Il pane caldo, il burro e le fettine di alce mi rincuorano e, adeguatamente ritemprata, esco in avanscoperta.
Incontro bambini che vanno a scuola in tuta termica, un lago pieno di papere, mura e torrioni del XII secolo, boschi, spiagge e barche, viuzze strette e austere chiese luterane, deliziosi bar col camino in cui mangiare la zuppa di pesce, e soprattutto una biblioteca a vetri affacciata sul Baltico. La più straordinaria che abbia mai visto (io sono un’amante delle biblioteche pubbliche, luoghi ideali per leggere, studiare, lavorare, scrivere).
ll gran vento di ieri notte ha spazzato le nuvole e ha portato qualche raggio di luce calda. Quando esce un occhio di sole a queste latitudini avverti immediatamente come sia benefico. La gente si ferma per strada a goderselo e anch’io adesso mi siedo sulle panchine a riscaldarmi. Il tramonto non si fa vivo per mesi, ma ogni tanto verso sera butta un arco di un colore giallo intenso che rischiara tutto intorno.
A giorni alterni faccio qualche gita. Solitamente lavoro la mattina e giro al pomeriggio ma qui non si può perché fa buio prestissimo. Seguendo i consigli dell'autista del bus, finisco in un posto dal nome impronunciabile, 4 lettere e 8 accenti. È il villaggio dove lui abita, è simpatico, ama Roma e Monterosso. Tira il solito vento da pazzi, lui mi rassicura che con l’ultimo giro verrà a recuperarmi. Mi fido e mi avventuro nel nulla.
Fårö, piccola perla nel Baltico
A nord nord di Gotland c’è Fårö, amata dal grande Bergman che qui ha vissuto e girato molti suoi film. Dal punto di vista paesaggistico, è la cosa più bella che ho visto in questo viaggio. Mi sembra ormai di non avere più paura di niente e mi spingo fin quassù: questa volta però l’isola è davvero deserta, non è un’illusione del vento.
Bergman aveva sull’isola una casa visibile e una invisibile, nel bosco. Gli isolani sapevano di non dover rivelare dove si trovasse. E poi la casa-cinema, dove vedeva ogni giorno le proiezioni. Mi racconta tutto una signora che mi porta in giro per l’isola con la sua macchina - non ci sono altri mezzi in questa stagione - e che ci abita insieme con pochi altri sparuti disseminati in casette rosse distanti l’una dall’altra.
Veniamo da mondi diversissimi, ma ci incantiamo nello stesso modo davanti allo spettacolo dei cigni che nuotano nel mare grigio acciaio.
Le cose che porto ancora con me dopo sette anni
In tutte le vite delle persone ci sono esperienze fondative, la Svezia è stata per me una delle più potenti. Le atmosfere intime, quelle luci si sono depositate dentro di me, in qualche modo mi rappresentano, mi esprimono. Lassù mi sono incontrata, scoperta per la prima volta in una solitudine viaggiante, accogliente, piena e parlante, che non ho voluto mai più perdere.
Ho scoperto che il cambio di scenario, l'altrove, facilita l'incontro, con se stessi prima di tutto: ciao cri, come stai, chi sei oggi, che fai? Che bello farsi queste domande in libertà. Ed è il movimento a facilitare le risposte.
Il viaggio ha smesso di essere una vacanza e ha cominciato a rappresentare essenzialità, leggerezza, libertà interiore, apertura di cuore e mente, che per me significano gioia. Non c'è niente di più prezioso della libertà interiore. Tutto il resto dipende da questo. Gli affetti, le relazioni, l'impegno sociale, il buon andamento delle cose materiali.
Il viaggio in solitaria è una esperienza diretta con sé stessi e col mondo intorno, che mette in gioco, trasforma ma anche definisce. Costituisce una esperienza di benessere non soltanto nei cammini, nelle esplorazioni, nella città, nei piccoli villaggi, nei boschi, ma anche nello stare concentrata a lavorare in un locale curato, in una biblioteca, in un ostello attraversato dal viavai internazionale.
Il lavoro è un ottimo ancoraggio e un potente antidoto al sorvolo turistico. Il viaggio cambia il lavoro e il lavoro cambia il viaggio: il viaggio assume una specie di autenticità e il lavoro si decontestualizza, esce dai luoghi preposti e diventa un insolito compagno di avventura. Può essere faticoso in alcuni momenti, richiede sicuramente disciplina, un patto con sé stessi da rispettare ogni giorno. Ma la strana fatica di una vita mista in cui tutto si tiene in una miscela personale - l’impegno e il cammino, la meditazione e la scoperta, la ginnastica e la conoscenza del nuovo, la solitudine e la relazione - è per me oggi la vera scelta alternativa.
Ti lascio un sorriso. E grazie di leggere i pensieri nomadi.
Le grandi rocce di Fårö.
Cristina, ti scrivo da una casa qualsiasi in un paese qualsiasi. Ti sono accanto mentre viaggi. Grazie di mettermi a parte della tua libertà.
Come esserci. Grazie