Alor. Esercizi di essenzialità
Dove siamo. La vita semplice di Alor. Luoghi maestri. Tre dimensioni dell' essenzialità.
DOVE SIAMO
È sempre più raro trovare nel mondo luoghi remoti e incontaminati come Alor, l’arcipelago nell’Indonesia orientale che comprende molte piccole isole, tra cui Kepa, il minuscolo scoglio verde da dove scrivo in questo momento. Non c’è vento stamattina, il mare è azzurro immobile, il silenzio totale.
Sono qui per un paio di settimane, ho il tempo di guardarmi intorno e di visitare altre isolette che si raggiungono in piroga nel giro di una mezzora. Ternate e Pura, ancora più sperdute, ferme nel tempo, lontanissime dall’Occidente. Ma forse non dalle sue tentazioni, perché i collegamenti Internet ci sono: paradossi della globalizzazione che in qualche modo lambisce anche queste rive.
Arrivando a Pura, arcipelago di Alor.
VITA AD ALOR
La vita delle persone al villaggio è fatta di pochissime cose, almeno così pare al mio sguardo esterno. Le abitazioni sono semplici come i loro gesti, i ragazzi scendono a pescare nella bassa marea, le donne vanno al mercato, gli uomini in barca. Non c’è molto altro. Si vive in famiglia, in gruppo. La religione è una presenza costante, le chiese, le moschee sono luoghi di aggregazione, gli unici oltre alla scuola.
Dominante è il piccolo commercio femminile di frutta e verdura, pesce, frittelline da asporto. Sono soprattutto le donne a condurlo. Una microeconomia di donne che sembra reggere l’intera società.
Il cibo riflette la cultura, ogni giorno mangiamo riso, pesce, verdure, qualche volta frutta. I traporti sono antichi: secchi in testa, piroghe a remi o con motori adattati, piccoli traghetti in legno, carretti per le merci, bilancieri a braccia per l’acqua dolce. L’acqua è preziosissima: trasportata a mano dall’isola più grande, non bisogna sprecarne nemmeno una goccia.
La giornata inizia presto, il canto del muezzin sveglia tutti alle 3.30, anche i cristiani, che qui sono molti. D’altronde il richiamo del mattino è proprio questo: Affrettatevi alla preghiera! Affrettatevi alla felicità! Pregare è meglio di dormire! Alle 6 il sole è già bollente, è il clima a stabilire gli orari della vita. Qualsiasi attività di studio, lavoro, cammino, visite, commissioni in città si svolge entro la mezza. Poi il caldo umido costringe a star fermi fino al tardo pomeriggio. La luce sparisce altrettanto presto, alle 19 arrivano le stelle.
Il mare è la risorsa per eccellenza. Si fa tutto col mare. Si viaggia tra le isole, si usa l’acqua per il bagno, si lava nel mare, tanto è pulito e trasparente; si pesca, si fa il turismo, che viene qui per i suoi fondali meravigliosi.
Alor è un luogo preservato nella cultura e nell’ambiente, e le due cose, lo sappiamo, vanno insieme.
Ne ho parlato qui la scorsa settimana: Sostenibilità nel paradiso di Kepa
Il mercato del martedì ad Alor Kecil.
LUOGHI MAESTRI
Stando qui, in una specie di circuito naturale benefico, a poco a poco ci si dimentica di quello che c’è fuori. Noto, nei giorni, che Alor contagia, ripulisce e riduce le esigenze, i pensieri, i desideri. Lavoro, nuoto, cammino catturando con gli occhi ogni dettaglio. Partecipo alla semplice bellezza del luogo, e mi sembra di non avere bisogno di niente altro.
Sarà forse l’incanto, ma l’impatto è quantomai forte per chi, come noi, percepisce come naturali il paesaggio urbano, gli aerei per spostarsi, montagne di oggetti, prodotti, abiti, comodità di ogni tipo. Sembra che non possano esistere posti dove “non c’è niente”, e invece ci sono e regalano una visione a chi abbia voglia di guardare.
Se ci si immerge fino in fondo, e si ha il piacere e la curiosità di farlo, si comincia a toccare un livello di essenzialità che personalmente mi interessa molto esplorare. È una ricerca in atto da tanti anni, che perseguo con passione non soltanto per il mio benessere ma come valore più grande adeguato ai tempi che ci aspettano: essenzialità e sostenibilità vanno a braccetto, sono il presente che vorrei e il futuro per chi verrà dopo.
Riconosco i maestri di essenzialità, siano essi persone, luoghi, libri, culture. Ne ho incontrati di straordinari, e questo è uno. Sto qui per farmi toccare il più possibile dalla sua speciale qualità e andare avanti un pezzo nel cammino.
Ternate, la lavorazione dei tessuti al telaio, chiamato ikat.
TRE DIMENSIONI DELL’ESSENZIALITA’
Essenziale viene dal latino essentia, che a sua volta deriva da esse, essere. Per usare un linguaggio filosofico, è la condizione fondamentale per cui qualcosa è, esiste. È ciò che è indispensabile, necessario, al di là della molteplicità delle cose. È ciò che è sobrio, l’opposto di superfluo.
Nelle mie esplorazioni di questi anni, ho rinvenuto tre dimensioni dell’essenzialità. Dall’alto verso il basso, dal più semplice al più complesso, riguardano l’organizzazione, il linguaggio e l’etica.
Si inizia dall’organizzazione della propria esistenza, cominciando a togliere gli oggetti. È il piano più accessibile ma non facile, è un esercizio, un percorso che deve nascere da un’esigenza di alleggerimento, anche interiore. Un ordine nuovo che a poco a poco si installa fuori e dentro di noi.
Una dozzina di anni fa, ho smantellato la casa di Milano e chiuso in una cassapanca le cose importanti. Oggi non ho più casa e le cose indispensabili sono in uno zaino. Questa è la misura che le mie spalle possono sopportare, ciò che non ci sta non è necessario.
Nella vita nomade che conduco attualmente, gli oggetti personali, tranne pochissimi, non esistono più, hanno perso valore, se non quello funzionale. Qui a Kepa mi trovo a mio agio perché il superfluo non c’è proprio. È un osservatorio ideale in cui si vede chiaramente che si può stare bene col minimo, usando le risorse quanto basta - acqua, energia, cibo - senza sprechi. La vicinanza della natura aiuta molto in questo percorso perché l’essenzialità da pratica individuale diventa una forma di rispetto, di salvaguardia dell’ambiente.
L'essenzialità nel linguaggio è un passo in più che sto sperimentando ultimamente, una specie di dieta di parole che mi sta diventando sempre più congeniale. In quello che dico, che scrivo e leggo. Nel proliferare della comunicazione a tutti i livelli, personale e pubblico, la maggior parte delle parole sono superflue, inutili, vuote di sensi. Oggi più che mai apprezzo il silenzio, la sobria riflessione, la capacità di usare la parola giusta al momento giusto.
Un’arte difficile, che presuppone la dote dell’ascolto piuttosto che quella di dire sempre la propria. Ma, altrettanto, un bellissimo esercizio per imparare a sottrarsi al chiacchiericcio generalizzato e rendere anche più efficace la propria comunicazione.
Un' etica dell’essenziale mi pare la più adeguata all’età che avanza. Se la giovinezza è la fase dell’ accumulo, la vecchiaia è quella dello svuotamento. È un cammino naturale, che bisogna reimparare a seguire.
Un' etica dell' essenziale chiama a un passo indietro e contemporaneamente alla responsabilità delle proprie azioni. Meno invadenza, meno egocentrismo, più rispetto, più delicatezza, più cura verso se stessi, gli altri e la natura. Mi danno sempre più fastidio gli sprechi, sprechi di risorse, di parole, sprechi di vita. Non è più tempo dello spreco, bisogna andare al sodo.
Sgomberare oggetti, esigenze, pensieri, aspettative, progetti crea nuovo spazio dentro e intorno a noi. Spazio mentale, psicologico, spirituale, creativo, affettivo. Spazio libero, vitale, che fa funzionare meglio tutto il resto, il corpo, le relazioni, il nostro stare al mondo.
Cristina ti abbraccio con immensa gratitudine, perché sempre ci porti da te e ci ricordi di allargare lo sguardo, sia esso geografico, interiore od emotivo. Bellissimo pensarvi lì