L’ Armenia, tre milioni di abitanti in tutto, è un piccolo Stato dell’Asia, quasi invisibile tra le impervie montagne del Caucaso. Fuori dalle reti del turismo globale, è lontana e si raggiunge a tappe con un viaggio lunghissimo. Stretti fra il nemico turco, il gigante musulmano azero e il grande orso russo che da sempre ne minacciano la pace e l’indipendenza, gli armeni hanno una vita - e una storia - davvero difficile.
Ci accoglie Erevan: la sua piazza immensa sembra voler contenere l’intero paese. Tutto è di memoria sovietica; edifici, statue, monumenti hanno il sapore di un’antica modernità. Una memoria sovrapposta a una ben più fonda, la fervente Chiesa armena, sopravvissuta nei secoli dei secoli a tutti i domini che hanno schiacciato questa terra di confine.
Oggi Erevan è una vivace capitale, ricercata anche dai nomadi digitali per i suoi buoni prezzi, i buoni ristoranti, il buon vino armeno, la vita notturna. Ci vengono a divertirsi i giovani dei paesi vicini, i russi, gli iraniani, che qui possono fare quello che a casa loro è proibito.
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Il primo contatto è Samvel, il giovane albergatore che conduce l’hotel periferico in cui siamo alloggiati. Io sono nel pieno delle scadenze editoriali e tra una visita e l’altra devo lavorare parecchio. Verso sera, al rientro, allestisco il mio ufficio portatile nella cucina dove si servono gustosissime colazioni.
Samvel si avvicina curioso e parliamo dei libri di scuola nel suo paese e nel mio. In un inglese stentato chiede se nel libro a cui sto lavorando compare la storia degli armeni. Certo, gli rispondo, un genocidio drammatico non può mancare nei nostri manuali. Il suo gesto mi commuove: si porta la mano sul cuore e mi ringrazia, è una cosa importantissima per il nostro popolo, mi dice. Non avevo mai percepito in modo così preciso il valore del mio lavoro.
Gli armeni hanno subito una delle persecuzioni più violente e forse meno conosciute della storia: un milione e mezzo di vittime deportate e uccise dai turchi durante la Prima guerra mondiale. Al Memoriale fuori città depongo un ramo di cipresso profumato intorno alla fiamma ardente che le ricorda. C'è una grande stele, è l'emblema del popolo armeno che risorge.
«Riconoscere la saggezza e la sapienza, conoscere le parole geniali.» È la prima frase scritta in alfabeto armeno, tratta dalla Bibbia. Tengono moltissimo al loro alfabeto, particolare e unico al mondo, e ne venerano il fondatore, il monaco Mashtots, vissuto nel V secolo. La sua gigantesca statua custodisce a Erevan una biblioteca con migliaia di manoscritti antichi in lingua greca e armena. Impressionante: dà la misura della immensa cultura di questo popolo dimenticato.
Le lettere sono opere d’arte, riprodotte ovunque, incise sulle colonne delle chiese, scolpite sulle pareti degli edifici. Proviamo a decifrarle ma restano misteriosi, meravigliosi disegni. Questa che vedete qui è la prima che apre l’alfabeto.
Siamo a gennaio, le strade sono ghiacciate, dissestate a tratti. Vogliamo spingerci all’interno ma io e il mio compagno non ce la sentiamo di prendere una macchina, e di treni e bus nemmeno l’ombra. I taxi sono l’unica possibilità e, naturalmente, per noi costano poco, così come gli alloggi che troviamo lungo la strada. Non è difficile trovarli, sono segnati in Internet o ci vengono indicati dagli abitanti del luogo.
Da nord a sud, il paesaggio è maestoso, di montagne aride, laghi, freddo di neve. I villaggi contadini, poverissimi, paiono congelati nello spazio e nel tempo. Ci fermiamo nel nulla a fare gas - qui le macchine vanno a gas russo - in una affollata stazione; con mia sorpresa la sosta dura più di un’ora, ma in effetti poi non ne incontriamo più.
Scorrono nel finestrino case in legno, i fumi dei camini, strade di terra, le carcasse delle industrie sovietiche dismesse, chilometri di tubature in esterno per resistere al ghiaccio. In città non ci si accorge dell’estrema miseria di questo paese. E nemmeno però dei suoi incantevoli, suggestivi scenari.
Cerchiamo i monasteri, testimonianze di una delle più antiche chiese cristiane al mondo, qui con orgoglio dicono la prima. Ne visitiamo di bellissimi, sugli altipiani, in cima alle montagne, incastonati nelle rocce, in fondo alle valli.
Uno dei più suggestivi è a Sanahin, a nord, al confine con la Georgia. Ma l’arrivo nel villaggio è scioccante, la desolazione che lo avvolge fa quasi paura. Eppure, nella sua semplicità, la stanza in cui alloggiamo è accogliente, e ancor più la signora, che premurosamente ci riscalda l’ambiente e ci prepara un buonissimo piatto un po’ mediorientale. Mai fermarsi alla prima impressione, né coi luoghi, né con le persone.
Passeggiando, ci viene incontro una famigliola. Con un gesto ci invitano concitati nella loro casa. Non possiamo parlarci, ci guardiamo soltanto. Saliamo le scale di un alveare cadente di minuscoli appartamenti. La tavola è apparecchiata, dividono con noi formaggio, sottaceti, involtini di verza e vino armeno. Lei suona il pianoforte, lui e la figlia ci mostrano i loro dipinti, le pareti ne sono ricoperte: il monte Ararat in primavera, uccelli, fiori coloratissimi. Da occidentali che hanno tutto ci eravamo chiesti come si può vivere qui: ecco, si fa così.
Proseguendo il nostro viaggio in Armenia centrale incontriamo l’antichissimo monastero di Ghegard e più a sud quello di Noravank, in una zona di alte montagne e coltivazioni di vino. Prendiamo alloggio nei pressi e, la mattina presto, lo raggiungiamo a piedi attraverso un canyon di rocce rosse. Quando lo scorgi in alto, di fronte a te, la vista toglie il fiato.
Lo scenario non lo sceglievano per la bellezza, ma per la sicurezza. E qui, al riparo da tutto, si sono conservate le decorazioni in pietra, i pavimenti di tombe, la scrittura incisa sulle colonne. E’ in corso la funzione, col suggestivo rito armeno del lavaggio degli oggetti sacri e della distribuzione dell'acqua santificata ai fedeli. Mi sento benedetta e fortunata.
Ci riportano indietro in autostop al primo tentativo. Sono giovani, gentili, contenti e un po’ sorpresi di vederci qui.
Grazie di aver letto i Pensieri Nomadi e un grazie speciale alle persone che si sono iscritte nell’ultimo mese: siete stati tantissimi! Un saluto e alla prossima settimana.
Ps. Le foto sono mie.
Tempo fa lessi "L'alfabeto dei piccoli armeni" un racconto straziante del genocidio attraverso i racconti dei "piccoli armeni" ovvero dei bambini, praticamente gli unici sopravvissuti che possano ancora raccontare le atrocità di cui sono stati testimoni. È stato difficile arrivare alla fine del libro (che per altro è breve) ma mi pareva un atto dovuto. Grazie per questo articolo.
Ottimo spunto x un prossimo viaggio in moto. Grazie