Vita a Brisbane. L'Energia dell'Australia
Torno a Brisbane dopo due mesi in Nuova Zelanda e trovo una nuova energia.
Il ponte di ferro di Brisbane, Queensland.
Di ritorno dal viaggio in Nuova Zelanda, a gennaio, abito per un po’ in un sobborgo di Brisbane, Murarrie, in una casetta tipica, piano unico, garage, giardino. Un posto silenzioso che invita alla concentrazione.
Ho scelto il tavolo esterno, fa caldo in questa stagione e di fronte al mio computer ci sono le palme e un praticello verde ben tenuto. Siamo ospiti paganti di una giovane imprenditrice sarda che si è trasferita in Australia una quindicina di anni fa; organizza eventi, il business funziona ed è contenta della scelta. Condividiamo gli spazi comuni con sua mamma, che l’aiuta e la raggiunge qui in alcuni periodi dell'anno.
Mi fermo dopo un paio di mesi di movimento e sono contenta di ritrovare il mio ritmo questa volta nella quiete. Mi è senz’altro più facile da ferma avere una routine. Ne sento il bisogno, fa bene a corpo e mente dopo tanto girovagare.
Questi sono i Pensieri Nomadi. Nella newsletter settimanale condivido la mia esperienza: il cambiamento di vita, la scelta nomade, i valori che mi ispirano, la bellezza dei viaggi e degli incontri.
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Mi alzo verso le 7, faccio una bella colazione e mi metto al tavolo a lavorare, scrivere, leggere. Ho tempo di fare con calma, di preparare e di dedicarmi alle cose per bene. Pranzo verso le 2 e nel pomeriggio cammino, faccio ginnastica - pilastro del mio benessere - oppure rimmergo la testa nei libri. Quelli di scuola in particolare, che costituiscono la mia principale occupazione.
I sobborghi da queste parti sono costituiti da villette tutte ordinatamente in fila lungo la strada, non c’è niente altro, a parte la scuola. La spesa e le commissioni si fanno al centro commerciale più vicino. Da questa prospettiva, si capisce molto bene l’utilità di un centro commerciale in cui gli abitanti sparsi su un vasto territorio trovano tutto ciò che serve riunito in un unico punto. Non l’avevo mai vista così.
In centro città ci vado comodamente con il bus, il 590, che ferma a due passi da casa. Il fiume non è lontano e posso raggiungerlo passeggiando. La camminata veloce quotidiana la faccio girando intorno all’isolato, tra amene villette e piccoli parchi di quartiere.
Anche questa è un’opportunità. Vivere, dico, vivere a Murarrie la vita degli australiani. In questa condizione, la conoscenza va in profondità anziché in estensione, scende di un livello. È un altro modo di entrare in contatto con il luogo, che lo fa diventare familiare. Meno avventuroso certo del giro itinerante, ma ugualmente interessante.
Da questa prospettiva sto metabolizzando il viaggio appena concluso. Rientrare a Brisbane mi ha dato una certa energia che non ho trovato in Nuova Zelanda. Se riuscissi a disegnarne un’immagine, ritrarrei New Zealand come una ragazza a modo, educata, armoniosa nelle forme. Ben pettinata, con tutte le cose a posto. Bella. Ma preferisco le scapigliate, le eccentriche, le disordinate.
Un posto stranissimo: il più lontano del mondo eppure il meno esotico. Ci sono certamente spot magnifici di mare e di terra ma rimangono come in un recinto. Protetti da quella stessa civiltà che li ha distrutti. Ogni metro quadrato di natura è progettato dall'uomo e ciò che rimane di quella selvaggia inglobata anch'essa in questa minuziosa organizzazione. Tutto è parco, riserva, santuario. Come se più niente fosse realmente selvatico e lasciato così com'è. E si avverte: la terra ha perso vitalità.
Andrei avanti a scrivere ma poi diventa troppo, devo chiudere il blog e tornare al lavoro. Mi do una disciplina per non disperdermi nella giornata e preservare la preziosa routine.
Dopo sette anni di nomadismo digitale non mi sono ancora abituata. Continuo a considerarla una situazione eccezionale, e lo è pensandoci davvero, soprattutto per chi, come me, è stato “dipendente”, cresciuto e formato in una cultura del lavoro tipica del Novecento. “Dipendente”: mai come adesso colgo le mille sfumature di questa parola. Ne comprendo ancora i vantaggi eppure la sento una parola antica: la modernità è dei remoti, nel bene e nel male. I collaboratori della mia ospite sono filippini e nessuno si sposta da dov’è. Come se niente fosse.
Senza confini mi sento a mio agio. Non dico che tutto il mondo è casa, ma quasi.