Il cambiamento climatico e il pensiero della cattedrale
Ho imparato qualcosa di interessante questa settimana che mi fa piacere condividere con voi. Un modo tutto nuovo di pensare il cambiamento climatico che mi sta aiutando a viverlo e ad affrontarlo.
Scrivo da questo angolino nel quartiere Isola di Milano. Dopo le sventagliate e le piogge tropicali della notte, l’aria è fresca e il sole pulito. Mi piacciono quei cartelli che indicano luoghi lontani. Aprono il pensiero.
Il lato umano del cambiamento climatico
Non voglio parlare del cambiamento climatico dal punto di vista scientifico, lascio a chi ne sa molto più di me.
E non voglio nemmeno parlare di cosa la politica e l’economia fanno e non fanno, di come siano complici o succubi o impotenti e parziali anche quando si provano a intervenire.
Mi interessa qui piuttosto il lato umano della faccenda. Come questo grande evento ci arriva o non ci arriva. Come lo viviamo o non lo viviamo. Come lo consideriamo o lo ignoriamo. Come allo stesso tempo ci coinvolge, ci sfugge e ci fa paura.
Mi sembra che non si parli mai di questo. Ma è cruciale, almeno tanto quanto l’allerta degli scienziati.
Non so voi, ma personalmente - e onestamente - sento dentro di me l'intero repertorio delle reazioni: mi arriva e non mi arriva; lo vivo e non lo vivo; lo considero e lo ignoro; mi coinvolge, mi sfugge e ne ho paura. È un’onda più grande di me, un parametro a cui non siamo abituati.
Anzitutto per la dimensione, oltre che per le molteplici facce con cui si presenta sul Pianeta. Difficile da concepire in tutta la sua portata e complessità - e in un certo senso anche da “vedere” - ne siamo sopraffatti o addirittura lo neghiamo. In entrambi i casi è la paura a dominare. Con il suo strascico di rabbia, sconcerto, scetticismo, impotenza.
Ma la questione è inedita anche per un altro aspetto: noi siamo, o dovremmo essere, contemporaneamente gli artefici e i risolutori del riscaldamento globale. E questo duplice ruolo è un bel problema, una lacerazione. Penso che ciascuno di noi la avverta almeno un po' dentro di sé. Io, moltissimo.
La cattedrale in cui ognuno posa la sua pietra
Sono molti anni che non mi affido più alla politica per risolvere i problemi, da quando cioè non la ritengo più in grado di farlo. Per mille motivi che non starò adesso a elencare.
E anche di fronte a questo pasticcio planetario in cui ci siamo ficcati penso istintivamente al gesto singolo, al mio proprio gesto, o più in generale al valore che può avere anche soltanto contrastare un'abitudine, diffondere consapevolezza o, al più alto grado, immaginare e tentare una soluzione.
Ma stavolta il pur potente legnetto nell’ingranaggio non basta. Il problema è grande e collettivo e chiama non soltanto una azione altrettanto grande e collettiva ma anche un pensiero del tutto nuovo che non è abituale a noi Sapiens, fortissimi nell’egoismo della sopravvivenza ma debolissimi nella lungimiranza.
Telmo Pievani è uno dei massimi studiosi del cambiamento climatico ed è anche uno di quegli scienziati che sanno comunicare informazioni complesse in modo comprensibile. Una sua efficacissima immagine è questa: il cambiamento climatico ha bisogno di un nuovo pensiero, il pensiero della cattedrale. È la cattedrale dei nostri tempi.
Quando nel Medioevo si cominciava a costruire una cattedrale, si sapeva che non si sarebbe finita nello spazio di una esistenza e che a beneficiarne sarebbero state le generazioni a venire. Chi posava la prima pietra - il signore della città, il vescovo, l’architetto o il semplice operaio - era consapevole che si sarebbe trattato di un’opera aperta, a cui gli uomini del futuro avrebbero collaborato per portarla a termine.
Usavano la lungimiranza e la fiducia intergenerazionale per raggiungere un obiettivo altrimenti impossibile. Consegnavano il proprio lavoro e il proprio impegno ai posteri. E la bellezza del risultato è ancora qui per noi.
Questa immagine ci porta a ragionare su un’altra scala ed è di grande conforto. Non soltanto perché fa di ogni azione presente una tessera di un mosaico più grande, ma perché le azioni e le decisioni che oggi inevitabilmente ci paiono parziali prendono senso e valore sommandosi e sviluppandosi nel futuro. Preservando e tramandando a chi verrà dopo rispetto e bellezza.
È un punto di vista che cambia le cose, dà una certa speranza ma bisogna avere il coraggio di pensare la cattedrale. Noi per primi. Cambiare le abitudini, prendere l’ecologia sul serio, non limitarci al nostro piccolo ma pensare ai risultati sul lungo periodo.
Dobbiamo chiedere alla politica e alla economia di fare altrettanto, la scienza lo fa già da decenni. Ma non aspettiamo ordini dall’alto. Partiamo da noi stessi. Ogni gesto è importante, ogni gesto è una pietra della cattedrale.
Questa è la piccola isola di Tubuai, nell’arcipelago delle Australi, Polinesia francese, che ho visitato lo scorso anno. Famosa perché ci sono approdati gli ammutinati del Bounty. Ebbene, questa è una delle tante isole e atolli che rischia di scomparire velocemente sotto l’oceano per il continuo innalzamento del livello delle acque. Portandosi sotto tutto, un’incredibile civiltà e un’ incredibile bellezza.
Cara Cristina, con il passare dei giorni, vedo con piacere che questo "argomento" sta suscitando in tutti noi un certo vivo interesse: aumentano infatti i commenti... ed aumenatano pure i "likes"! Segno che l'argomento sta a tutti quanti noi particolarmente a cuore. Dando così vita ad un interessante dibattito, ricco di belle considerazioni! Penso che sia davvero utile, per tutti noi, approfondire l'argomento andando ad aprire il "link" (su Wikipedia) sottostante; eppoi la sua prima voce: "Descrizione".
Qui si parla dei cambiamenti climatici (e delle varie teorie)... Dal Medioevo (periodo notoriamente caldo), siamo passati poi al periodo del Grande Freddo (conosciuto anche come periodo della "Piccola Glaciazione", che colpì tutta Europa, tra 1550 e il 1850), per arrivare, in ultimo, all'attuale fase di scongelamento dei ghiacciai... Con la descrizione del fatidico "punto di non ritorno!!! Quello di cui bisogna davvero aver paura è proprio questo: il "punto di non ritorno"... Resta quindi da capire se siamo davanti ad una delle "fasi di transizione della storia" o - ahimè - a quella "di non ritorno"! Davanti a questo amletico dubbio, continuo a battagliare e a prodigarmi per il bene e rispetto della Natura. Grazie a tutti e scusate
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Ritiro_dei_ghiacciai_dal_1850
Oggi l'aria è fresca, il mare azzurro. La rimozione è una pratica che il "sapiens" di oggi facilmente esercita, e non mi sottraggo. La costruzione della cattedrale, invece, deve andare avanti anche quando sembra che sia rimandabile la posa del proprio mattoncino. La consapevolezza è il primo mattoncino, agire nel proprio piccolo è il secondo; la sensazione che qualcosa vada fatto anche a livelli superiori resta, anche se la politica siamo noi. Grazie Cri per gli spunti interessanti.