La (non) parità di genere nel mondo: 131 anni per raggiungerla
Ogni anno escono report sullo stato della parità di genere nel mondo. I numeri non sempre mi appassionano ma in questo caso sì. Danno fondamento al dolore verso l’ennesima violenza sulle donne.
I NUMERI PARLANO CHIARO
Non è mia intenzione fare analisi psicologiche, sociologiche o personali sulla violenza di genere, non ne ho le competenze e non voglio aggiungere parole a tutte quelle che sono state dette in questi giorni. C’è il dolore fresco per Giulia, che mi arriva fin quaggiù. La rabbia e il senso di impotenza per le altre 102 uccise nel 2023, e per tutte quelle prima.
Ma c’è la consapevolezza che la violenza, fino al gesto estremo del femminicidio, è una malapianta che ha radici profonde in un humus antichissimo che non smette di germogliare.
Per lavoro faccio libri per la scuola, e ho la fortuna di venire a contatto con informazioni aggiornate e di prima mano. Mi fa piacere condividerle qui oggi per un buon servizio: è importante avere un’idea più precisa possibile di come funziona il mondo per le donne alla luce dei fatti del presente e del passato.
Partiamo con questi. Ogni anno l’Unione Europea elabora un Indice, Gender Quality Index, per monitorare i progressi sulla eguaglianza di genere: 100 significa piena eguaglianza tra uomini e donne sul piano del lavoro, della partecipazione politica, delle opportunità formative, dell’accesso alle strutture sanitarie e su molti altri indicatori interessanti.
Ecco i risultati del 2023. Complessivamente i 27 Paesi UE hanno un indice di 70 punti: non soltanto la parità non è raggiunta - e questo lo sappiamo perché lo vediamo tutti i giorni – ma soprattutto che c’è ancora moltissimo da fare in particolare in quattro ambiti decisivi per la vita delle persone, in cui le differenze tra uomini e donne sono molto marcate:
- le posizioni di potere (59 su 100)
- l’istruzione (64 su 100)
- la gestione del tempo (69 su 100)
- il lavoro (74 punti su 100).
Questo significa svantaggio in punti cruciali della società. Dove si prendono le decisioni le donne sono troppo poche e spesso non hanno la forza di far passare certi valori e battaglie civili. L’accesso alla conoscenza è troppo basso, e questo ci rende deboli in un mondo dominato dall’informazione. La gestione del tempo è sbilanciata: in questo indicatore risulta che sono ancora le donne in grandissima maggioranza a fare i lavori di casa e a cucinare tutti i giorni. Infine il gap sul lavoro vuol dire dipendenza economica dalla famiglia e dai mariti. E dai Centri antiviolenza sappiamo che la mancanza di autonomia economica è uno dei maggiori freni alla denuncia delle violenze domestiche.
UN CONFRONTO CON IL RESTO DEL MONDO
La cattiva notizia però deve ancora arrivare. Secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, l’Europa è quella che fa di più in termini di politiche per l’uguaglianza di genere, sebbene abbia al suo interno immense differenze, con Islanda, Norvegia e Finlandia al top delle classifiche mondiali e Ungheria, Repubblica ceca e Cipro come fanalini di coda.
L’Italia sta nel mezzo, e si vede qualche progresso, ma rimane sotto la media europea. Le donne in Parlamento sono il 36%, guadagnano in media il 43% in meno dei colleghi maschi, una su due ha subito molestie sessuali.
A parte le due Americhe che seguono a ruota, i Paesi africani e asiatici sono messi piuttosto male, con quasi 10 punti di distacco rispetto all’Europa. L’Indonesia, dove mi trovo ora, è uno di questi, ma non è in fondo alla lista, dove invece c’è il Giappone: incommensurabilmente più sviluppato ma pessimo dal punto di vista dei diritti e delle opportunità per le donne. La pandemia di Covid-19 ha rappresentato un colpo mortale per tutti anche in termini di progresso verso la parità.
Andando avanti di questo passo, calcolano gli esperti, la parità verrà raggiunta fra 130 anni, in media: ci vogliono ancora 67 anni per l’Europa, 95 per il Nord America, 152 per Medio Oriente e Nord Africa, 189 per Asia orientale e Pacifico. Naturalmente il time to parity è un parametro da prendere con le pinze, ma rende molto bene l’idea di quanto siamo lontane da uno sviluppo sociale degno di questo nome.
A MARGINE (MA NON TANTO): LE DONNE SONO PIU’ GREEN
La presenza ridotta delle donne nei luoghi della politica e dell’economia dove si prendono le decisioni strategiche è una grave mancanza anche in termini di tutela ambientale.
Le rilevazioni in ambito UE indicano che le donne sono mediamente più attente all’ambiente: il 31% (contro il 23 degli uomini) dichiara di evitare sistematicamente prodotti animali; il 49% (42 gli uomini) non usa plastica e prodotti monodose; il 42% (41 gli uomini) opta per mezzi di trasporto a basse emissioni. Per contro, le donne impiegate nel settore dell’energia sono soltanto il 24% del totale, mentre nei trasporti la percentuale scende ancora al 22.
Basta guardare a questi numeri per capire quanto di buono si perde il mondo escludendo le donne.
LA LUNGA STORIA DEL DIVARIO DI GENERE E DELLA VIOLENZA
Gender gap è una parola moderna e sempre più usata per indicare il divario tra uomini e donne, ma la sua storia è antichissima, almeno quanto la cultura occidentale, per riferirci soltanto alla nostra, che è quella che conosco meglio e che mi sento di documentare.
Se avete voglia di approfondire, qui trovate un bell’articolo su La violenza di genere in prospettiva storica della professoressa Liviana Gazzetta, insegnante di liceo ed esperta studiosa di storia delle donne, con cui per lavoro collaboro da tanti anni. L’abbiamo confezionato per la scuola, come contributo didattico (pubblicato da Sanoma), anche in questo caso sperando di fare un buon servizio affinché docenti, studentesse e studenti possano occuparsi dell’argomento in modo documentato.
È un punto di vista originale che ripercorre le tappe essenziali del pensiero da Aristotele ai giorni nostri, mostrando in modo chiaro, e attraverso documenti, l’origine culturale della secolare subalternità femminile. E come da essa, dalla teoria che gli uomini hanno elaborato sulle donne - sulla nostra presunta “minorità” e “passività” rispetto alla loro “potenza” e “attività” - derivi proprio la violenza, la violenza domestica e la violenza sessuale.
Chiudo il cerchio con una lettura un po’ fuori dal coro di Jonathan Bazzi, che con la sua propria esperienza di violenza domestica e la sua provocazione intelligente - Dobbiamo agire subito. L’educazione è solo retorica da social - mi ha stimolato molte riflessioni in questi giorni funestati dall’assassinio di Giulia e da chissà quante altre violenze sotterranee di cui non ci arriva nemmeno un sussurro.
Grazie di aver letto fin qui. Vi mando un saluto da queste isole bellissime, giovani e piene di speranza.
Cristina
Grazie Cristi per il tuo contributo. Sabato sono andata al presidio in largo Cairoli, e l'enorme partecipazione mi ha fatto sperare; l'incommensurabile commozione che è circolata tra le migliaia di persone in assoluto silenzio durante la lettura dei nomi delle 105 donne uccise nel 2023 in Italia e di come queste donne sono state uccise dai loro compagni, mariti, parenti, ex abbandonati,
è stato davvero toccante: tante donne, ragazze, signore, ma anche uomini, ragazzi, famiglie, bambini... molti piangevano, tutti uniti nel dolore e nella rabbia per queste morti, consapevoli che sono la punta dell'iceberg rispetto alla quantità di violenza, soprusi e prevaricazioni che non emergono, ma esistono e sono molto più diffusi di quanto si possa immaginare. Condividere con tante persone rende più fiduciosi. Un grande abbraccio.
Sono ormai giorni che è uscito al cinema un film di Paola Cortellesi, dal titolo "C'è ancora domani". È una pellicola in bianco e nero che, a distanza di una settimana, sono tornato a vedere ben due volte, proprio per cercare di cogliere ogni sua singola e sottile sfumatura. La storia è ambientata nel 1946 e culmina con il 2 giugno del 1946, con il voto alle donne... È un film che parla di violenza di genere e del diritto di voto!!! Un traguardo, questo, che è arrivato dopo lunghe e durissime battaglie: nate nell'Ottocento... e proseguite poi nelle lotte clandestine e partigiane. Rispetto a noi, la vicina Francia, che da oltre duecento anni porta avanti il motto "Liberté, Égalité, Fraternité", l'ottenne solo nel 1943: solo tre anni prima di noi! La Svizzera soltanto nel 1971. Quanta strada deve ancora essere fatta...! Ormai è da qualche settimana, che questo film sta riscuotendo un gran successo al botteghino e sta facendo un gran parlare di sé. Se non lo avete ancora visto, vi consiglio di andarlo vederlo.