Mekong. Vita e insegnamenti del fiume
Viaggiare è imparare. E il fiume ha molte cose da insegnare, sul mondo e su come guardarlo.
Il Mekong visto da Pak Beng, un piccolo villaggio del Laos vicino al confine con la Thailandia.
Il primo incontro con il fiume a Luang Prabang, antica capitale del Laos che sorge sulle sue rive, non mi ha soddisfatto. Dalla città non riuscivo quasi a vederlo. Sembrava finto, una quinta teatrale per le crociere dei turisti al tramonto. Non ne percepivo il respiro.
Per guardarlo negli occhi ho dovuto navigarci in mezzo. Allora ho sentito la sua potenza, la sua ampiezza, le sue ferite. Ed è stato un incontro d’amore.
Da Luang Prabang a Pak Beng sono circa 150 km, 8 ore di barcone in legno che porta i turisti in Thailandia e i laotiani nei loro villaggi arrampicati sulle colline verdi scavate dal fiume.
Non c'è acqua della Terra che ami più di un fiume. Senza i fiumi non ci sarebbe la vita. E il Mekong la distribuisce generosamente da millenni per quasi 5000 km, dal Tibet, dove nasce, al Vietnam, dove sfocia.
Andiamo lenti, controcorrente. In questo tratto il fiume è navigabile, ma è raro. Troppe rapide e cascate lungo il suo corso. Ma soprattutto dighe, che interrompono il flusso un tempo continuo.
Ci sbattiamo contro appena partiti. Un enorme mostro di cemento armato, l’ennesimo. Tutti vogliono energia e sviluppo e tutti costruiscono dighe, laotiani, cinesi, thailandesi, vietnamiti. Qui la risorsa è l’acqua, non altro. E tutti la usano e la abusano.
Il primo insegnamento del fiume è che lo sviluppo è insostenibile. Lo sapevamo già? Forse. Ma lui da qui ce lo dice forte e chiaro: alla lunga non reggo, non ce la faccio, mi prosciugo. E poi voi come fate?
Il secondo è che la contraddizione è insanabile. Non si risolve, dobbiamo conviverci. Siamo tanti, tantissimi. In Asia vive il 60% della popolazione mondiale, e le risorse sono quelle che sono. Sviluppo contro natura. L' impasse è drammatica e qui si tocca con mano. La gente è ancora troppo povera per occuparsi di ecologia, ha ben altri bisogni primari e vuole un po’ di benessere. C’è qualcuno che può dire no?
Con questo dilemma fisso in testa, proseguo il viaggio. E oltre la diga prosegue la vita. La resistenza del fiume è straordinaria. Chissà quanto durerà.
Dalla mia postazione - un sedile di macchina montato vicino al bordo - ho gli occhi incollati sulla riva che scorre alla mia destra.
Sfilano pescatori e contadini, impegnatissimi in una faticosa sopravvivenza quotidiana. Canne di bambù sorreggono le reti; gli orti sono ordinati e sopraelevati; le donne accovacciate nell’acqua setacciano la sabbia, per trovare qualche pagliuzza d’oro o pescetti da mangiare. Un elefante da lavoro cammina pesante nella sabbia, e i bufali sommersi fino al muso dipingono un paesaggio ancestrale.
La vita di milioni di persone dipende interamente dal fiume. E quindi, energia contro agricoltura?
Il terzo insegnamento del fiume è il più difficile: la misura. La misura per continuare ad esistere, noi e la natura, legati a doppio filo: una strettoia in cui siamo costretti a passare, non c’è alternativa. La sfida più grande a cui siamo mai stati chiamati in tutta la nostra storia.
Pak Beng è un porto di passaggio cresciuto per i turisti. Sostano una notte qui per poi proseguire verso il confine, nessuno si ferma. Mi piacciono molto i luoghi di transito, ci restiamo una settimana. Ogni mattina il Mekong si presenta maestoso alla nostra finestra e ogni sera offre lo spettacolo di un tramonto senza pari.
In questo viaggio, dalle città ai piccoli villaggi, sembra proprio che il Paese si stia letteralmente costruendo sotto i nostri piedi. Strade al posto delle piste di sabbia, case al posto delle baracche, ponti in cemento al posto di quelli in bambù. D’altra parte, la miseria è tanta e si percepisce il grande sforzo di volerne uscire. Il prezzo è altissimo e le aggressive infrastrutture cinesi sono l'unica chance. Si ha la tentazione di dire: ma non era meglio prima?
Il quarto insegnamento del fiume ci aiuta nella risposta. Non si può tornare indietro, bisogna andare avanti. E scorrere contenendo tutto, proprio come fa lui. In una parola, comprendere: “prendere con”, includere, incorporare tutti gli elementi, portare con noi tutto ciò che incontriamo. Attraversare le cose per capirle, senza escluderne nessuna. Imparare ad avere uno sguardo largo, adeguato alla complessità del mondo. Perché quello selettivo, che ci fa guardare soltanto da una parte, è ideologico e pregiudiziale.
E infine c'è n'è un quinto, che osservo ogni giorno dalla riva: navigare controcorrente è faticoso ma si può.
UN PO’ DI FOTO BELLE DI QUESTO VIAGGIO
Non sono certo la prima a cui il fiume ispira riflessioni. Nel mio prezioso repertorio di citazioni ne ho ben due collegate al fiume. Una arriva da Oriente e l’altra da Occidente.
Il monaco zen vietnamita Thich Nhat Hanh dice: Go as a river. Vai, scorri come un fiume.
L’antico filosofo greco Eraclito dice: Non si può discendere due volte nel medesimo fiume.
Sono insegnamenti molto fertili, te li lascio da meditare.
Ciao, grazie di avermi accompagnato fin qui, alla prossima.
Bellissimo post! Io mi ricordo di aver attraversato l'arcipelago delle 4000 isole, dove ho nuotato con i delfini, per poi arrivare in Cambogia. Ancora oggi quando dico: ho fatto il bagno nel Mekong fa impressione non solo a chi mi ascolta, ma anche a me 😂
Ho sempre subìto il fascino dei fiumi e dei torrenti di montagna, un po diversi quindi dal Mekong. Ma lo scorrere dell'acqua e del tempo è il medesimo. Bellissimo racconto, Grazie Cristina!