Poesia del Giappone interno
Sono partita da Nikko e oggi sono tra le montagne sacre di Dewa Sanzan. Un itinerario passo dopo passo di natura e spiritualità, con qualche link utile se vorrai visitare questi luoghi meravigliosi
Yamadera, tempio di montagna Risshaku-ji.
A Tokyo questa volta non mi fermo, cerco un altro Giappone
Arrivo a Tokyo ma resto soltanto una notte. Giusto il tempo di acquistare una sim locale, fare un giro al Sensoji, il tempio buddhista più antico della capitale, e concedermi una cenetta in uno di quei ristoranti deliziosi a conduzione famigliare che si trovano nelle vie più defilate.
Alloggio in un ostello pulito ed economico nel quartiere di Asakusa, facile da raggiungere dall’aeroporto di Haneda con un solo treno - le linee di Tokyo sono un labirinto e il primo giorno è difficile orientarsi - e bellissimo da camminare.
Torno in Giappone per la seconda volta (della prima nelle isole del sud, Shikoku e Kyushu, ho parlato qui) e fa una certa differenza. Quando esco dal sotterraneo e sbuco nella via non sono spaesata. Riconosco quell’atmosfera speciale che c’è soltanto qui, sorrido e mi lascio portare. Ricomincio il viaggio da dove l’ho lasciato sei anni fa, per continuare verso nord, Honshu e Hokkaido.
A Nikko perdo la testa fra 103 templi e santuari, laghi vulcanici e cascate
Non ho voglia della grande città, ho fatto il pieno a Hong Kong, affascinante ma pesantissima, come sono le metropoli asiatiche. Sono venuta per un altro Giappone, quello delle campagne, delle montagne, della cultura tradizionale e della spiritualità. Cerco questo, e inizio da Nikko.
Nikko si trova a un paio d’ore di treno da Tokyo Asakusa; molti vengono in giornata per ammirare uno dei complessi religiosi più spettacolari del paese ma io, come sempre, preferisco fermarmi un po’, rinunciando magari a qualcos’altro. Riesco a trovare un ostello appena fuori dal centro, ricavato in una casa tradizionale con le pareti in legno. E’ semplice e silenzioso, sono sorprendentemente da sola e ci sto bene. A volte mangio per conto mio acquistando al supermercato, altre nei ristorantini piuttosto economici che ci sono qui intorno. Incontro un ragazzo di Atlanta, facciamo due chiacchere e vado a letto contenta.
L’antico ponte rosso di legno che immette alla zona sacra e tutti quei templi, santuari shintoisti e giardini mi incantano letteralmente di pace e armonia (c’è anche poca gente durante la settimana). Ma ancor di più quando mi spingo all’interno, con gli autobus, verso i laghi vulcanici che caratterizzano la regione. Qui scopro altri templi immersi nella natura ma soprattutto il lago Yunoko, un vero idillio di pescatori, boschi di acero, acque ribollenti e cascate. Incontro le scimmie lungo la strada e per evitarle faccio il mio primo autostop in Giappone. Mi carica una simpatica famiglia di svedesi e finisco la giornata in bellezza.
Yamagata, la capitale delle ciliegie, e Yamadera, dove salgo per la prima volta a un tempio di montagna
Quando finalmente arriva qualcuno in ostello, incontro Holly, giovanissimo di Londra, spigliato documentarista e con una grande curiosità di viaggiare in posti non troppo battuti dal turismo internazionale. Mi parla di Yamadera e decido di andarci. La città più vicina è Yamagata, che raggiungo con tre treni, passando per Fukushima. Al secondo passaggio prendo la coincidenza sbagliata: ma le persone ti aiutano, niente panico - poco dopo sono su quella giusta.
La città è priva di attrattive significative - tranne le ciliegie, di cui la provincia di Yamagata è la regina indiscussa. Appena arrivi ti accorgi subito che non è un luogo per stranieri: non c’è una sola scritta in inglese (nessuno lo parla) e nemmeno la trascrizione dei kanji (gli ideogrammi giapponesi) in caratteri latini. Bisogna arrangiarsi a gesti o con Google Traduttore.
Mi piace passeggiare tra le sue vie proprio per questa “normalità”, perché posso osservare almeno un poco dove e come vive la gente. Mi accolgono con curiosità (devo andare in albergo perché l’ostello naturalmente non c’è) e nel pub passo una delle serate più carine del viaggio, circondata da galantuomini che cercano di spiegarmi tutto, il menù, come si intingono i gyoza (ravioli) nella soia e nell’aceto, come si chiede questo e quello.
La mattina prestissimo prendo un piccolo treno locale alla volta di Yamadera e scopro una perla, anzi due.
Con una salita di mille gradini, che si snoda in un bosco di cedri, aceri e alberi di ginko, raggiungo il tempio Risshakuji, sul monte Hoshu. Mozzafiato, il percorso punteggiato di santuari in pietra, e la vista. Quando arrivo faccio mille inchini al Buddha dorato, e anche a Holly, cui sono gratissima. Sono l’unica occidentale.
E’ proprio qui che il grande poeta Matsuo Bashō (1644-1694) ha scritto uno dei suoi haiku (brevi componimenti di tre versi) più toccanti:
Shizuka sa ya
iwa ni shimi iru
semi no koe
Il silenzio
penetra nella roccia
un canto di cicale
Visito il memoriale che la città gli ha dedicato. Scopro che era un infaticabile viaggiatore e che nel Seicento ha fatto il mio stesso percorso, mettendoci tre mesi. Nel suo diario, Lo stretto sentiero verso il profondo Nord, definisce il viaggio “casa”. Lo amo, le sue poesie mi stanno accompagnando nel cammino.
Dewa Sanzan: le tre montagne sacre dedicate alla vita, alla morte e alla rinascita
Scrivo queste note da Toge, un remoto villaggio con una secolare tradizione di pellegrinaggi. Alloggio in questi giorni nella locanda di Tamonkan che da 11 generazioni ospita devoti convenuti qui da tutto il Giappone per fare un cammino di preghiera e trasformazione sui monti di Dewa Sanzan, che rappresentano le tre fasi dell’esistenza: Haguro-san, la vita, il presente; Gas-san, la morte, il passato; Yudono-san, il futuro, la rinascita.
Sono irresistibilmente attratta da questo luogo e mi organizzo per arrivarci. E’ lontano. Devo prendere un autobus per Tsuruoka e fare di nuovo autostop per andare a prendere un secondo bus che mi porti fin qui.
Toge si trova ai piedi del monte Haguro, il primo nell’ordine e il più accessibile. Parto la mattina presto, mi infilo in una secolare foresta di cedri altissimi e profumati, e non esco più. Sono catturata dalla magia del luogo, ci passo un giorno intero, a camminare e a meditare. Questa volta gli scalini in pietra per raggiungere il meraviglioso santuario sulla sommità sono 2446; vado lentamente gustando ogni passo, si può fare, la salita è ripida soltanto in alcuni tratti. La discesa sarà più faticosa.
Incontro numerosi gruppi di pellegrini vestiti di bianco e adornati come i monaci della montagna, chiamati yamabushi, seguaci di un antico culto ascetico, lo shugendō, ispirato a tutte e tre le tradizioni del buddhismo, dello shintoismo e del taoismo.
Sono ancora molte le persone che frequentano queste montagne per devozione, e si sente. Sono cariche di un’umanità che oggi come allora viene a depositarvi le proprie sofferenze e a cercare conforto, come Ina, rimasta vedova a 28 anni dopo qualche mese di matrimonio. Sono rimasta profondamente toccata nell’ascoltare la sua storia.
La salita sul monte Gas-san è più impervia e non riesco a raggiungere il santuario, posto a quasi 2000 metri di altezza. Cammino per circa un’ora e mezza, attraversando paludi punteggiate di lilium arancioni; il panorama è spettrale e spettacolare ad un tempo. C’è nebbia, tira vento, pioviggina e non mi azzardo ad andare oltre: seguo il consiglio di una signora che mi invita a tornare indietro. Sono comunque soddisfatta di averci provato, è quel che riesco a fare.
Per il Yudono-san non sono pronta. E’ il più lontano e il più difficile, soltanto in pochi riescono a scalarlo. Ho camminato sul monte della vita, nel pieno presente, e ho lambito quello della morte, nel passato che non torna, ma la rinascita dovrà aspettare. Proprio da qui sento che la strada è lunga e ho ancora molto, forse tutto, da imparare.
Domani mattina parto per Aomori, la punta più settentrionale di Honshu. Ci risentiamo settimana prossima dal Grande Nord.
Grazie di seguire i Pensieri Nomadi. Un abbraccio da Cristina
Hai fatto benissimo ad evitare Tokyo! Complimenti per la pianificazione.
Semplicemente resto senza parole...per te che sei stata capace di arrivare lì che è come scalare la montagna e per ciò che descrivi: un mondo dove pare che la pace sia possibile.
Grazie