Spiritualità in viaggio
Cerco sempre molto questa dimensione nella vita e nel viaggio. Mi piace incontrare la spiritualità degli altri e, attraverso di essa, esplorare la mia.
Siedi con ogni cosa. Sii uno con ogni cosa.
Shunryu Suzuki-Roshi
Se dovessi scegliere le parole per dire “spiritualità” userei queste, semplici ed efficacissime. Nel mio prezioso repertorio di citazioni ne ho molte altre sotto questa rubrica, ma nessuna è altrettanto precisa e limpida quanto il pensiero del grande maestro giapponese Shunryu Suzuki-Roshi. Mente zen, mente di principiante è il suo capolavoro.
Buddha in costruzione a Champasak.
Da molti anni tengo vicino a me questo insegnamento. E’ molto difficile quello che chiede - fermarsi, sedersi e respirare con ogni cosa che si trova dentro e fuori di noi, senza rifiutarne nessuna; essere uno con quello che c’è, stare nelle cose completamente, corpo e mente. Difficile, e tuttavia cruciale per vivere la pienezza della realtà: per non stare sulla schiuma ma nel profondo del mare.
Non sono buddhista né altro, non amo definirmi in nessun modo. C’è stato un tempo, passato remoto, in cui l’appartenenza definiva la mia identità, oggi non più. E’ piuttosto la libertà che mi definisce, la ricerca, l’apertura. Sii uno con ogni cosa, apriti ad ogni cosa.
E siccome ognuno è chiamato a cercare la sua propria via, unica e personale, la mia, qui come altrove, si esprime ancora una volta nel movimento. E’ nel movimento, nel viaggio, nel contatto con mondi lontani che trovo il contatto più vero con me stessa.
Templi e risaie lungo il Mekong.
Scrivo da Champasak, una minuscola cittadina a sud del Laos. Percorrendo a piedi la strada centrale che la attraversa, si incontra un gran numero di templi, uno dietro l’altro. Colorati - rossi, rosa, verdi, oro - come sono da queste parti, e accoglienti. I Buddha benedicenti ti aspettano in ampie sale, ombreggiate e affrescate, sempre aperte, dove prendere un momento di preghiera, raccoglimento, meditazione.
Qui un po’ di foto del viaggio
Oggi ne avevo bisogno, sono entrata e mi sono seduta. A terra, gambe incrociate, occhi chiusi. Lo faccio con disinvoltura, niente a che vedere con la soggezione di una chiesa. Sarà il contatto con la terra che toglie ogni formalità.
Il volto dolce e concentrato del Buddha è un invito a respirare, ad ascoltare, a guardare dentro e oltre. Un invito semplice, da umano a umano, che cerco di trattenere e riprodurre sul pavimento della mia stanza d’albergo almeno una volta al giorno. Meglio dopo la sessione di ginnastica, quando il corpo si è liberato dalle tensioni ed è pronto per accogliere la mente.
La cerimonia del filo, che trasmette la benedizione dal monaco ai fedeli.
Sono pause benefiche dal trambusto della vita quotidiana, non sempre facili da guadagnarsi in viaggio, quando la giornata è satura di avvenimenti e lo spirito continuamente distratto da tutto quello che succede fuori. L’inchino con cui chiudo questi momenti speciali è anzitutto un ringraziamento a me stessa per essermeli concessi.
Il buddhismo è la tradizione a cui mi sento più affine e che frequento da parecchio tempo. Ma, non essendo settaria, ricerco e amo anche le altre: gli sfolgoranti dèi dell’induismo, che ho adorato nei templi indiani di Kuala Lumpur, l’austerità di Allah nelle moschee indonesiane, la particolare devozione di Bali, fatta di offerte di fiori e incensi a ogni essere, dio, pietra, albero.
Il tempio hindu delle Batu Caves, KL.
Apprezzo il rito, ogni rito, i gesti, i canti, i colori, gli oggetti che da secoli accompagnano le diverse pratiche di fede.
Ciò che in esse mi attrae è l’invisibile nelle sue mille forme e, ancor di più, il tributo che gli esseri umani porgono all’invisibile, qualsiasi nome esso abbia: dio, anima, natura. “Acchiappa-cerimonie” mi chiama Giorgio, in effetti non me ne perdo una. Partecipo in mezzo alla gente come se ogni tradizione e ogni dio mi appartenesse.
Non finisce di stupirmi il valore che l’invisibile, il mistero della vita, continua ad avere per le persone - e per me - in un mondo fatto di materialità, denaro, utilità.
Il fatto è che senza l’invisibile non si vive, si sopravvive, schiacciati dal tempo che corre via come l’acqua tra le dita.
La spiritualità è una parte essenziale dei miei viaggi. Se non la sento, i luoghi mi sembrano vuoti. Dopo il mercato, vado in chiesa, al tempio, alla moschea. Ma non la cerco soltanto nei luoghi tributati a ospitarla. La trovo in giro, tra le gente, nelle strade, nell’aria. In me, quando sono uno con ogni cosa che incontro.
La spiritualità è essa stessa un viaggio, il più intenso e interessante che si possa fare. Per il mio, valgono più di tutte le parole del grande poeta bengalese, che ti lascio in meditazione e con le quali ti saluto.
Il viandante deve bussare a molte porte straniere per arrivare alla sua. Viaggiare per tutti i mondi esteriori per giungere infine al sacrario più segreto, all’interno del cuore.
Tagore
Tre donne di viaggio, con molto spirito
Alla fine di questa newsletter un po’ particolare, mi fa piacere presentarti tre donne che, in modi diversi, hanno fatto del viaggio e del mondo una parte essenziale della propria vita.
La prima è
. L’ho conosciuta per la sua impresa eccezionale: un viaggio in moto, in solitaria, dalla Svizzera al Giappone. Nei suoi racconti sa mettere insieme consapevolezza e libertà ed è molto curiosa di altre viaggiatrici, cui spesso dedica interviste. La sua newsletter si chiama Parole on the road.La seconda è
. Lei è un’etnomusicologa e i suoi Dispacci sono molto poetici: dedicati ai più diversi paesaggi sonori, portano titoli di una sola parola e raccontano il mondo e la natura attraverso la musica. Si trovano musiche insolite e raffinate.La terza è
(Gianfagna) e la sua newsletter si chiama come lei. E’ una nomade digitale felice: la sua energia fluente si sente tra le parole. Ed è la più internazionale, scrive anche in inglese, sforzo encomiabile. In questo momento lavora dal mitico Puerto Escondido. Racconta di sé, delle persone che incontra e dei luoghi che abita.
Sono un po' allergica invece io alle cerimonie.
Forse in giro per il mondo mi sentirei attratta per curiosità da gesti e suoni nuovi, diversi.
Mi ritrovo invece in quello stare che tu descrivi.
Esperienza del non gesto, della non azione, del non desiderio. Luogo o forse non,-luogo dove lentamente si depositano nomi, identificazioni, concetti. Non - luogo dove il corpo è ciotola vuota e quel che resta è l'invisibile spazio, l'invisibile presenza.
Un abbraccio.
Anche per me vale il tuo discorso... La libertà è ciò che più mi definisce, in tutte le sue manifestazioni; insieme all'apertura e alla ricerca. Ascoltando e osservando la natura e i paesaggi, lontani e vicini, sento che la mia strada, il mio percorso, mi conducono sempre in quella direzione... È in mezzo ad una foresta, ad un bosco, o in cima ad una montagna, oppure davanti a sconfinati paesaggi, a perdita d' occhio, che provo queste forti mie 'vibrazioni'... È nella Natura, e in tutte le sue incredibili manifestazioni, che trovo la mia ragion d' essere, la mia dimensione, la mia spiritualità... Sono le foto dei tuoi elefanti in riva all' acqua - che si stagliano in mezzo a piccole dune di sabbia dorata -, quelle delle tue foreste lussureggianti, dei tuoi paesaggi agrari e dei tuoi "covoni" color argento - che mi appaiono come incredibili frattali - ad ipnotizzarmi e ad affascinarmi... lasciandomi sognare ad occhi aperti, e a riflettere sul creato!
L' altro ieri, a metà giornata, mentre ero per agenzie assicurative e cose trite, ricevo sul cellulare, da una cara amica, una gran bella poesia... Un gran bel gesto, che mi rimette al mondo e mi fa toccar con mano la mia spiritualità. Una poesia che voglio condividere, con voi tutti:
"È la coltivazione della solitudine, sceglierla, che mi
sta insegnando a sentire gli altri, i piú lontani e i piú
vicini, a sentire come stanno, a sfiorarli con il pensiero
senza prenderli mai.
Tanti episodi violenti accadono nel bosco, diluvi e
temporali che abbattono alberi vecchissimi, taglialegna
che li sterminano, trattori che sfondano la terra
e creano pozze che si riempiranno d’acqua e fango,
cacciatori che sparano, animali che spariscono, acquattati
nella paura, feriti, morti. Ma il bosco sta, colpito,
ammutolito per le ferite, i traumi, le razzie, ma sta.
Dove altro potrebbe andare? Ma sta con vivezza, sta
con presenza, non si distrae mai, non ha testa in cui
nascondersi e staccarsi da terra, ha radici, ha linfa che
pulsa, ha nascita e morte che si intrecciano, ha fantasia
illimitata e geometrie precisissime e fame e sete.
Gli alberi prendono le forme del vento ma anche della
fame di luce, della sete d’aria e di spazio. Gli animali
azzannano la vita, mordono il mondo.
Resto qui, qui è piú chiara la violenza di esistere,
qui si sa scappare, rincorrersi, assaltare, fidarsi, crollare,
balzare. Resto qui, c’è una grammatica piú semplice
per gli ingenui.
Chandra Candiani da 'Questo immenso non sapere.' Einaudi
Ebbene,
buon ...viaggio... Cristina, e un caro saluto a tutti