Verso Sud. Le mie scoperte in Marocco, non sempre buone
Mi piace scrivere le cose come stanno, fuori dai cliché turistici
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Da Essaouira verso Agadir. Oceano, deserto e argan (cresce soltanto qui e quello vero si fabbrica in questa regione, gli altri oli sono finti)
Questa è la prima verità che imparo scendendo lungo la magnifica costa atlantica a bordo di un bus allestito per i surfisti, dal nome simpatico “Souk to Surf”, che fa tutte le fermate. In questa stagione siamo in pochi e c’è posto anche per me.
Mi lascio alle spalle Essaouira, dove ho chiuso in bellezza con una sessione di yoga e meditazione in un elegante riad (ma a prezzi accessibili) e procedo nella mia solitaria verso sud.
Sullo sfondo di una musica berbera che ci accompagna in un piacevolissimo viaggio, scorrono piantagioni di piccoli alberi di argan in un territorio desertico, dove non crescerebbe nient'altro. Il mare batte la costa con onde perfette per gli amanti della tavola: i villaggi di pescatori si stanno trasformando in mete internazionali dove vengono a surfare da ogni angolo del mondo. Peccato che le infrastrutture siano troppe, invasive e brutte: per fortuna, lo scenario di oceano e vento è talmente potente da oscurare l’avanzata del cemento.
Passo una giornata a Imsouane, un unico cantiere lungo una baia tra le più belle e profonde che abbia mai visto. E’ diventato un villaggio di ragazzi, europei e asiatici, che vengono a praticare gli sport d’acqua, mentre la gente del posto si è spostata più in là, verso la montagna.
Uno di loro è Mahmoud, lo incontro sulla spiaggia. E’ amazigh, ossia appartiene alla popolazione originaria pre-islamica, che non vuole essere chiamata “berbera” perché è spregiativo, deriva da “barbaro”. Lui non sa nuotare né tantomeno surfare; è “scappato” dal Ramadan del suo villaggio per sfuggire al controllo della famiglia. Vuole rilassarsi qui, e mi dice che anche altri giovani fanno così. Nei luoghi turistici il Ramadan in effetti non si sente, ma appena ti allontani l'osservanza è generale e strettissima.
Mahmoud è gentile, come tutti qui, e si offre di accompagnarmi, ma riprendo il bus e arrivo in città in serata. L'autista mi porta il più vicino possibile al mio hotel (non ci sono ostelli).
Agadir. È interessante perché ci sono tutti i volti del Marocco racchiusi in una sola città.
Agadir è il primo posto “normale” del viaggio. Stare alla medina di Marrakech o a Essaouira è come visitare Venezia e pensare che tutta l'Italia sia così. Niente di più fuorviante.
Mi ritrovo invece in una città moderna, servita di mezzi, con grandi viali e giardini, simile in questo alla nuova Marrakech. Sembra piuttosto vivibile, e la guida che mi accompagna a fare un primo giro di ricognizione me lo conferma (è un buon metodo - ci sono molte app per prenotare free tour - così mi oriento prima di muovermi per conto mio; tra l'altro i turisti sono meno numerosi e ho un giro guidato tutto per me).
Il clima è meraviglioso: caldo secco e cielo azzurro. C’è sempre vento, ma a questo bisogna abituarsi. Lungo la baia immensa ritrovo lo stesso modello intensivo, con la costruzione di decine di alberghi di lusso frequentati da vacanzieri tutto l'anno. Ci sono gli europei, e d’accordo, ma la scoperta sono gli africani. I nigeriani benestanti che vengono ad Agadir in villeggiatura, in gruppi o famiglie. È la prima volta che incontro il turismo africano, sono contenta che sia finalmente arrivato anche il loro turno.
In questa strana Nizza del Marocco circondata dal deserto, colpiscono due cose. L' enorme souk, che al pari dei villaggi più remoti costituisce il centro della vita sociale; e il Ramadan: la città, a parte la baia, è blindata per il grande digiuno. È tutto chiuso: bar, ristoranti, e si finisce di lavorare alle 15,30. Ogni attività è rallentata o sospesa. La vita inizia dopo il Ramadan, mi spiega Rashid.
Vorrei visitare il porto di pesca, il più grande porto di sardine dell’Africa, ma non mi fanno entrare, è proibito. Mi spiace perché deve essere qualcosa di speciale. Qui molte cose sono in effetti militarizzate, è pieno di controlli. L’altra faccia della medaglia è che il paese è sicurissimo, in particolare per i turisti.
Tamri. La vita in un villaggio rurale deve essere dura, ma forse così pare a me che vengo da un altro mondo
Tamri si trova verso l’interno, a circa un'ora di auto da Agadir. Ci vado con un taxi collettivo, condiviso cioè con altri passeggeri, tutti locali. Funziona così: vai alla fermata e aspetti che l’auto si riempia. Una mezz'oretta, arrivano altri quattro e andiamo, e così il tragitto costa pochissimo. Non devi avere fretta, da noi sarebbe impensabile.
È circondato dal deserto, ha le strade polverose, le case mezze costruite - ma la scuola è bella -, ci sono macerie dappertutto e non riesco a capire perché. Nessuno di noi ci vivrebbe mai, ma noi non facciamo testo perché siamo sempre troppo ricchi rispetto al resto del mondo.
Non ci sono altri turisti, e ci vengo proprio per questo. Cerco di immergermi un po' nella loro vita, che si svolge intorno al mercato e alla moschea. Ma si prega anche vicino ai banchetti. Il divario con la città è profondo e qui sono osservanti più radicali, gli uomini e i ragazzi sono tutti in caftano e abiti tradizionali.
Compro cose buone al souk, miele, olio di argan originale, spezie per il cous cous, frutta, amlou, una mousse di sesamo, olio e miele di arancio, tutto fatto in casa. È un modo per avvicinarmi, non ne ho molti altri. Scambio saluti e sorrisi, la gente è accogliente, come sempre nessuna sensazione di disagio.
Le donne sono quasi tutte completamente velate di nero, non posso vedere i loro visi. Qui sono più chiuse e coperte, ma anche nelle città ho la sensazione che siano invisibili, dietro le quinte.
Stanno a gruppi, separate dagli uomini, i quali svolgono tutte le attività pubbliche e turistiche - comprano e vendono al mercato, conducono i taxi, fanno le guide, servono ai tavoli … Durante tutto il viaggio ho avuto vari scambi con gli uomini, gli unici che lavorano a stretto contatto con gli stranieri, con le donne non sono invece mai riuscita a entrare in contatto. Perché per lo più non ci sono.
Al mercato di Tamri colgo l’occasione per un minimo scambio. Mi avvicino a un banchetto di anelli di rame giallo, che qui piacciono tanto. Cominciamo a provarci e a scambiarci gli anelli con altre donne, senza parlare, ridiamo e ci guardiamo. Me ne compro uno e un altro lo regalo alla piccola Fatma, incuriosita da me. Lei e sua mamma sono contentissime. Non lo faccio perché l' occidentale è più ricca, ma per stabilire anche solo un esile legame, un ricordo reciproco. Non so se lo sarà per loro, per me si.
Essere a Tamri mi mette grande gioia. È per questo che viaggio, per questa immersione umana, al di là di tutto il turismo e delle sue contraddizioni.
Se ti sei persa la puntata precedente
Marocco in solitaria. Prime impressioni ed esperienze
Dromedari sulla spiaggia di Essaouira, costa atlantica.
Ti ringrazio, mi fai sognare il giorno in cui non sarò più chiusa tutto il giorno in un ufficio.
Figo! Non sono mai stata a Tamri ma sembra molto bella. Grazie per questa descrizione!
Ci sono un sacco di posti che devo recuperare in Marocco anche se ci ho vissuto un anno.
Se vuoi vedere un souk “hard core” (luogo più autentico di questo non esiste) ti consiglio quello di Had-Draa a circa 40km da Essaouira, se dovessi tornare in quelle zone (lo fanno di domenica mattina).
È uno di quei posti che ti sbalzano indietro nel tempo. Però si svolge anche il souk del bestiame, quindi può essere un po’ così.
La campagna attorno a Essaouira, che è troppo turistica, è una buona alternativa super autentica. Paesaggisticamente poi è molto interessante.