Afghanistan. Nessuno ci va, Claudio si, e con le sue gambe. Sono riuscita a contattarlo mentre è ancora in viaggio e a fargli un'intervista. Le foto sono sue, le pubblico per gentile concessione.
Appena ho incrociato la sua storia ne sono rimasta affascinata. L’Afghanistan è uno di quei viaggi proibiti, che quasi nessuno può fare, sicuramente non una donna, per le guerre, per i talebani, per l’estrema povertà del paese più martoriato del mondo.
Ho sognato più volte di andarci, per la gente, per le montagne.
Claudio Piani è un uomo coraggioso che si è messo a cavallo della sua bicicletta, dallo «zerbino di casa», a Quarto Oggiaro, un quartiere di Milano, al campo base dell’Everest, attraversando in 26 giorni il Paese degli afghani (si intitola così un piccolo libro che ho letto mille anni fa e che mi è rimasto nel cuore).
Bio dell’autore:
Claudio Piani nasce due volte: la prima all’ospedale Buzzi di Milano il 5 agosto 1987, e la seconda a Quarto Oggiaro, periferia nord di Milano, nell’agosto 2014, quando decide di mollare tutto e partire. Due vite meravigliose, la prima spesa nella sua città lavorando come operatore sportivo e la seconda in giro per il mondo, alternandosi tra viaggi e lavori più o meno seri. Secondo un indovino conosciuto in India dovrebbe morire nel 2076.
Mi ha mandato un’ intervista in audio di 1 minuto ciascuno, di più non si poteva fare. E io, come si diceva una volta, mi sono messa a sbobinare.
Ciao, benvenuta e benvenuto tra i Pensieri Nomadi. Grazie di ritrovarti su queste pagine e grazie alle persone nuove che sono arrivate nei giorni scorsi 🙏
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1 Ho scoperto di recente la tua storia appassionante: l' attraversamento dell'Asia in bicicletta, da Milano all’Everest, passando per l’Afghanistan. Vuoi raccontarci come sei arrivato a questa scelta ?
Il mio progetto era di andare da Milano al Nepal in bicicletta, per poi salire al campo base dell’Everest. Senza usare mezzi a motore, tutto con le mie gambe.
Sono nomade da dieci anni, ho lasciato il lavoro e ho iniziato a viaggiare, alternando mesi di viaggio e mesi di lavoro in nazioni straniere, non ho rendite e mi mantengo così.
In dieci anni mi sono trovato ad attraversare l’Asia via terra quattro volte. La prima, nel 2014 coi mezzi pubblici, da Milano a Giacarta; la seconda, nel 2016, in autostop da Singapore a Milano; la terza volta in bici dal Tibet a Milano, e la quarta da Milano al campo base. Questo viaggio è il completamento delle quattro vie che collegano Europa ed Estremo Oriente, la prima volta ho fatto la Transiberiana, la seconda la Via della seta attraverso l’ Asia centrale, poi Via della seta e Caucaso e l’ultima, la Via della seta meridionale.
2 Dove ti trovi in questo momento?
Mi trovo a Katmandu, in Nepal, ho fatto 10063 km: Balcani, Bulgaria, Turchia, Georgia e Armenia, Iran, Afghanistan, Pakistan, India e poi sono arrivato in Nepal.
Avevo attraversato 90 paesi prima di entrare in Afghanistan. Ho dovuto dimenticare tutto. Paese imparagonabile a tutti i 90 precedenti.
Tutto bene, in Nepal sto ricaricando le pile, sono fermo qui da una decina di giorni. L’ultimo periodo è stato difficile per via delle temperature himalayane; adesso mi sto riposando, sto mangiando, mi sto preparando per l’ultima parte del viaggio e la salita al campo base. E per tornare indietro, un altro obiettivo importante!
3 L'Afghanistan è una terra sempre associata alla guerra e alla repressione dei diritti umani. Come ti sei trovato?
Dell’Afghanistan si potrebbe parlare per ore. È stato, insieme al Pakistan, la tappa più desiderata in questo percorso. Dico chiaramente che fatto da turista è molto complicato, ai limiti di una esperienza estrema. Ti trovi in condizioni veramente disagiate in qualsiasi momento e in qualsiasi posto. È un paese arretratissimo, chiuso, senza niente. L’acqua fa male, sono stato male di stomaco come mai prima. Nelle città e nella capitale Kabul ancora ancora, ma nei paesini non c’è elettricità e non puoi avere acqua, frigoriferi, ventilatori, con temperature a 40 gradi. Non puoi avere niente di quello che pensiamo.
Attraversare l’Afghanistan da soli in bicicletta è un’esperienza che mette a dura prova pazienza e coraggio. Un’esperienza fortissima, però, che ti permette di vivere da dentro tutto quello che vedi. Credo che ci vorranno mesi prima di realizzare quello che ho fatto.
4 Com' è il rapporto con la gente? Riesci a comunicare?
La popolazione istruita delle città, come spesso succede nei paesi musulmani, è estremamente amichevole e cordiale; io sono stato aiutato da un sacco di persone, spesso mi è capitato che in un ristorante qualcuno sia venuto a pagare il conto per me, nonostante la gente guadagni 80-100 euro al mese.
La grossa differenza è tra città e villaggi. Nelle città c’è un po’ più di comunicazione, qualcuno parla inglese. C’è stato in maniera stabile l’esercito americano o quello italiano, tedesco, spagnolo; sono più abituati all’occidentale e ci parlano, c’è anche meno curiosità.
Nei paesi non c’è ostilità – soltanto una volta sono stato preso a sassate da alcuni bambini - ma c’è una grande curiosità: ti trovi in posti dove non hanno mai visto uno straniero, e passare in bicicletta vuol dire che qualunque cosa tu faccia – compri due pomodori, vai in bagno, pianti la tenda per dormire - hai venti-quaranta persone sempre intorno, che ti seguono oppure stanno lì a guardarti tutta la notte!
C’è curiosità ma non c’è comunicazione, non sono in grado di rapportarsi con te; non è una loro colpa, ma l’accerchiamento continuo da parte delle persone è una esperienza faticosissima che se non vivi non puoi capire.
In Afghanistan la gente è stupenda, la natura bellissima, il cibo (cucinato bene) buonissimo e il patrimonio archeologico e storico ricchissimo. Tutto il resto è tremendo: qualsiasi prodotto è scadente, scaduto o mal conservato, le infrastrutture pessime, la sanità accessibile a pochi e solo nelle città. Povertà, disoccupazione, fatica. Sarebbe tutto tremendo se non fosse per quel senso comunitario che li fa sopravvivere.
5 E la presenza dei talebani? Come si comportano con gli stranieri?
Con i talebani ho avuto un po’ di problemi. Loro, teoricamente, dovrebbero aiutare e difendere i turisti, però molti non sanno né leggere né scrivere, non sanno proprio come rapportarsi con te.
Arrivo alla frontiera afghana do il mio passaporto al primo talebano nell’ufficetto. Lui, non sapendo cosa fare, lo da a un altro che, a sua volta, lo dà a un altro, che, in circa 10 minuti, trascrive tutti i miei dati su un foglio. Finito il procedimento, mi restituisce il passaporto chiedendomi con un’inglese stentato se fossi canadese.
All’ultimo controllo prima di entrare in Pakistan, mi hanno preso, bendato, caricato in macchina e mi hanno portato, credo, in una base segreta che non potevo vedere dove si trovasse. Mi hanno preso il telefono e controllato che non avessi il Gps.
Non volevano farmi niente di male, ma questa modalità ovviamente per me è stata estremamente stressante, in una condizione fisica dove già ero deperito dopo 170 km di deserto.
C’è poi il tema delle donne, che sarebbe lunghissimo affrontare qui e che in queste settimane, tra l’altro, si sta aggravando in maniera pesante.
Da quando sono tornati i talebani (quattro anni) le bambine vanno a scuola sei anni, i maschi dodici. Da quando sono tornati i talebani le bambine non possono più andare in bicicletta.
6 Che tipo di esperienza è stata, tutto sommato?
Ho visto un sacco di paesi nella mia vita, anche difficili, dove c’è povertà, sofferenza, alcolismo, e tutti mi hanno sempre lasciato qualcosa di positivo. Ho sempre visto una parte luminosa che compensava quella negativa, e la superava. In Afghanistan ho visto certe facce sofferenti, è la prima volta che purtroppo le mie personali emozioni positive si pareggiano a quelle negative.
La sofferenza di alcuni occhi, i volti coperti da stracci, le scarpe usate, residui di elemosina occidentali, i fucili dei talebani sempre in bella mostra rimarranno qualcosa di difficile da dimenticare.
Claudio si autofinanzia con i libri che ha pubblicato, ne ha scritti quattro e sono disponibili su Amazon: Una vita incredibile; Vagabondario; I diari della bicicletta; Diario di un maestro in Cina.
Tuffati qui per cominciare a leggerli :-)
Puoi seguirlo anche su Facebook e Instagram, dove trovi foto e bei video.
I numeri del viaggio in Afghanistan
1 notte in caserma dai talebani
5 giorni consecutivi senza vedere il volto di una donna
8 la media dei figli che ha una famiglia afgana nei villaggi o piccole cittadine
12 giorni consecutivi senza vedere una “tazza del cesso”, e se pedali 130 km al giorno e vai in bagno 6 volte al giorno causa dissenteria… farla sempre accovacciato è un massacro per le ginocchia 😊
15 i litri di acqua che sono arrivato a bere ogni giorno, ero in totale disidratazione
26 giorni nel paese
38 giorni senza vedere una faccia occidentale (Afghanistan + ultima parte Iran)
60 km/h ma velocità massima raggiunta
+150 le volte che i talebani mi hanno controllato
+1000 le foto che mi sono state scattate per la strada
E poi:
- In Afghanistan non esistono i cestini, si butta tutto per terra. Ho visto bambini, in pieno deserto, andare a raccogliere le bottiglie di plastica trasportate dal vento, per venderle a pochi centesimi.
- Non ci sono le targhe, e le poche che ci sono sono dei “vecchi proprietari”. Ho visto macchine con la targa dei vigili del fuoco di Portogruaro.
- Non so perché ma il cibo che si prende per la strada è sempre avvolto da giornali coreani.
- Sembra una banalità, ma in Afghanistan non c’è nessuna importazione dall’estero; quindi, esiste solo la frutta di stagione. Peccato fossi nella stagione dell’anguria e come capirete bene caricarsi 5 kg di anguria in bici non è proprio facile.
- In Afghanistan nessuno ha le sedie a casa, ci si siede per terra. Quando ci si siede è buon costume tenere le gambe incrociate e non allungate. Se poi proprio si vuole allungarle MAI verso sud-ovest. Mai puntare i piedi verso la Mecca.
Grazie e a presto.
Un sorriso, Cristina
Grazie per questo racconto, che restituisce un senso di povertà dell'Afghanistan che è inimmaginabile dai racconti mediati che arrivano di solito attraverso tv e giornali.
Bellissima intervista, che fotografa un paese problematico senza cadere nella retorica e senza stare da una parte o dall'altra.
Come dovrebbero essere tutte le analisi. Peccato però per quello che emerge, ovvero un paese che sta rotolando verso l'inferno. Tanta tristezza per un'involuzione di cui siamo stati - in parte, anche minima - responsabili pure noi.