Tahiti, in piroga al tramonto.
«C’è un tempo per essere albero e un tempo per essere piroga.»
Tanti anni fa, quindici almeno, ho incontrato per la prima volta questo proverbio polinesiano riportato da una donna che raccontava il suo cambiamento di vita. Da allora queste parole sono diventate le mie, sono scritte in ogni taccuino e continuano ad essere fonte di ispirazione.
Di tanto in tanto riemergono a ricordarmi chi sono, chi ero e che cosa sono diventata. E mi dicono che si cambia, che non si è alberi una volta per tutte, e non si è piroghe una volta per tutte. C’è un tempo, diverse fasi, e la saggezza sta nell’accoglierle, o alternarle seguendo il ritmo della vita.
La nostra condizione è quella di scegliere, o forse di oscillare, di non rimanere uguali.
Ero albero, sono piroga. E poi chissà.
Ciao, benvenuta e benvenuto tra i Pensieri Nomadi 💐
In questo spazio settimanale condivido la mia esperienza: il cambiamento di vita, il viaggio come apertura all’incontro, il nomadismo esistenziale e digitale. Se non lo hai ancora fatto, puoi iscriverti ora.
Grazie e buona lettura, Cristina.
Ho capito appieno il significato di quelle parole quando un paio di anni fa ho avuto l’occasione straordinaria di vivere a Tahiti per sei mesi. Le piroghe sono nate lì, scavate nei tronchi. Pezzi unici: un albero, una piroga. L'una deriva dall'altro, come il movimento dalla stasi.
Le vedi la sera scivolare sull’acqua, leggere eppure stabili. Mi piaceva essere quella piroga, semplice nel suo movimento, eppure così efficace. Nella mia condizione di albero non ero altrettanto salda, ho messo radici nell'andare.
Il mio corpo stretto e fragile è piroga, la mia mente vagante è piroga.
E tu, sei albero o piroga?
Tahiti, piroghe a riposo sulla riva.
Provo quiete nel movimento e una certa turbolenza nello stare ferma.
Siamo esseri paradossali, non c' è niente da fare. L' uomo è un legno storto, diceva Kant, se lo raddrizzi si spezza. Bisogna fare con tutte le nostre contraddizioni, portarcele dietro, e amarle.
Scriverle dipana la matassa, si affida qualche filo agli altri, che è sempre un bene.
È un periodo di turbolenze, le chiamerò le turbolenze dell’albero. Non si può dire che sia ferma, tutt’altro. Da quando sono tornata dall'Oriente mi sposto in diversi punti dell'Italia a slot di due-tre settimane. Ma non mi basta.
Ho nostalgia del flusso, della pacificazione che trovo nell'andare, o nel viandare, come dicono i poeti. Capita anche a te?
Il movimento mi culla il cervello e mi aggancia pienamente a me stessa. Se ci fosse un treno che gira tutto intorno alla palla del mondo, lo prenderei e scenderei tra un anno. L’importante è sapere come funzioniamo per farci onestamente i conti e farli con la realtà.
Viaggiare è un po' volare, e io sono un essere d’aria. La terra dopo un po' mi impolvera, mi infastidisce, mi annoia. E questa volta, dopo un viaggio itinerante di cinque mesi, l'atterraggio è più difficile.
Il viaggio dà leggerezza, quella lievità senza incombenze che mi consente di pensare, sentire, vivere il mondo e gli altri in modo diretto, senza filtri, nel pieno presente.
Qualcosa che ha a che fare con l’irresponsabilità del viandante di cui parla Claudio Magris nel suo magnifico Infinito viaggiare?
La quotidianità ha in effetti un suo eroismo concreto, forse ancor più del viaggio. Bisogna saperci stare nella quotidianità, senza farsi scippare la poesia, lo stupore, la contemplazione, la curiosità, l'incanto del mondo. Difficilissimo. Da quel che vedo intorno a me sono in pochi a farcela. Ma è qui che si incontrano i maestri, i maestri dello saper stare.
Non provo mai il sentimento dell'invidia, tranne che per una categoria di persone: quelli che stanno bene dove sono. La mia dimensione è piuttosto l' altrove. Lo stare non è ancora alla mia portata.
Non mi giudico e, anzi, amo gli inquieti. Riconosco il fuoco che spinge avanti, che non si arrende alle clausole, che vuole vedere che cosa c'è di là.
A volte può essere faticoso, ma la quiete può esserlo di più.
A Tahiti gli alberi sono maestri, accolgono.
***
Mentre scrivo queste righe, incontro quelle di
nella sua . Ha viaggiato un anno in America del sud e adesso è fermo a Buenos Aires. «Ho scelto di essere un nomade per avere la libertà di cambiare direzione, eppure ho capito che questa libertà ha un limite», scrive nell’ultimo post L’impossibilità di essere tutto, a proposito delle difficoltà dell’”atterraggio” in una città dopo tanto andare. «Essere un nomade regala la leggerezza di potersi perdere, ma non implica la possibilità di percorrere più strade contemporaneamente.»E’ esattamente questo il tema. C’è un tempo per essere piroga e un tempo per essere albero.
Trovo interessante e per nulla scontato scoprire come da stili di vita simili, o ancor meglio da approcci simili alla vita, possano nascere pensieri, dubbi e riflessioni che si incrociano tra loro.
Questo tema delle fasi è diventato per me ricorrente, e vale sia per l'alternarsi di giornate difficili o fortunate, sia per l'alternarsi di tutti gli altri aspetti della vita. A volte ho come l'impressione che ci ritroviamo in certe fasi che ci sembrano vadano in controtendenza con l'ambiente circostante (come sta succedendo a me adesso a Buenos Aires), altre volte invece sembra tutti si allinei e allora si ha la sensazione di andare a ritmo con la vita.
Il proverbio diventa tale perché riassume con forza un pensiero profondo. In quello che hai condiviso ci vedo due grandi insegnamenti: il primo è quello di accettare che le cose cambiano e non possiamo controllarle del tutto; il secondo è quello di ascoltarsi, per capire in quale momento stare.
Grazie mille per averlo condiviso, per me è come un regalo.
Mi piacerebbe diventare piroga per navigare leggero nelle acque, quasi sempre increspate, della vita. Anche stando dove sono, perché i problemi veri, i conflitti interni- se presenti- ce li portiamo dietro. Per ora sono un gran tronco, ma ci lavoro su da un po’.