USA, cosa vedo dalle fessure del viaggio
Il capolavoro del Virgin River e altre piccole storie americane
Siamo a Hurricane, un piccolo paese dello Utah, stato occidentale degli Usa. Il nostro alloggio è al piano superiore di una casa monofamiliare come ce ne sono molte da queste parti: un bel patio, garage enorme, giardinetto anteriore e posteriore. Ci abita una famiglia con cinque figli, qui siamo nella terra dei mormoni, e chissà che lo siano anche i nostri host.
Al mercatino di Halloween che anticipa la festa, come minimo i figli sono tre: ne vediamo addirittura sette, con genitori giovani, tutti vestiti uguali, dal più grande al neonato, con magliette a righe bianche e rosse. Grandi auto contengono queste grandi famiglie, e grandissimi sono anche i camper che vediamo in giro per il deserto e i parchi, veri e propri camion allestiti a case.
Hurricane si trova nelle vicinanze dello Zion National Park, siamo qui per questo. Man mano che ci avviciniamo rimango estasiata: altissime pareti e altipiani di arenaria rossa ci circondano. La strada è letteralmente scavata all’interno delle formazioni rocciose, lamellate e irregolari, che non possono chiamarsi montagne, perché sono cosa ben diversa. E’ come muoversi su diversi livelli: puoi essere in alto e avere sotto un profondo strapiombo, oppure trovarti su una doppia corsia stretta nel fondo valle.
Quando si viene a visitare i parchi negli Stati Uniti si rimane colpiti dall’elemento più imponente e spettacolare del paesaggio: il canyon. Quello che abbiamo stampato dentro di noi, senza nemmeno saperlo, dai film western. Ma è il fiume il vero protagonista. E’ suo il lavoro di scavo lento e continuo che dura da milioni di anni. Qui il creatore di tanta meraviglia si chiama Virgin River, meno famoso del grande Colorado, di cui è tributario.
E’ lungo 260 km e attraversa tre stati, Utah, Nevada e Arizona. Le sue acque cristalline hanno formato lo Zion canyon, lungo 25 kilometri e profondo fino a 800 metri. Oggi, prima di inoltrarmi nella valle a camminare, mi sono seduta sulla riva a guardare, ad ascoltare. E’ un fiume-vita, come ne ho incontrati tanti nel mondo. Sulle sue sponde hanno abitato per millenni le comunità native e poi, dalla metà dell’Ottocento, i mormoni, che hanno costruito lo Stato che vediamo oggi.
Spesso mi succede nel viaggio di non avere un’ idea precisa di che cosa mi aspetti né di che cosa vedrò, visiterò. Parto, e attendo che sia il luogo a parlarmi in qualche modo, a darmi la direzione. Siamo in Utah grazie a un amico giornalista di Giorgio che siamo andati a trovare a San Francisco. Conoscevo soltanto la voce attraverso Radio Popolare. Vive negli Stati Uniti da quindici anni, ci siamo incontrati in un piccolo caffè del quartiere latino della città (dove vendono dolcetti palestinesi). Emozionante.
E’ una miniera di informazioni e parlare con lui ha aperto tanti scenari e riflessioni su questo strano posto che sono gli Stati Uniti. Qui c’è un mondo altro che, mi sono resa conto ascoltandolo, noi non conosciamo, se non per la parte più esterna che può arrivare in Europa. Passeggiando per Oakland, la parte est di San Francisco, non turistica, abitata da una numerosa comunità nera, ho cercato di assorbire quanti più racconti e considerazioni che smontano i nostri cliché e, forse, presunzioni.
Di una in particolare sono contenta: l’opposizione a Trump c’è. La polarizzazione e l’attenzione sul presidente è portata dai social media, ma nella realtà diversi movimenti stanno emergendo, sia fuori sia dentro il Partito democratico. In Europa si vede poco ma qui si stanno organizzando e a breve, in diverse elezioni che si svolgeranno a novembre - prima di tutto quella del sindaco di New York - vedremo se già cominciano ad affermarsi novità significative.
Una prova di ciò che sta accadendo l’abbiamo avuta qualche giorno dopo a Las Vegas, dove il 18 ottobre abbiamo partecipato alla manifestazione “No Kings”, che ha mobilitato milioni di persone in tutto il paese in quasi 3000 cortei a difesa della democrazia e contro il razzismo anti-immigrati. Anche di questo è arrivato troppo poco sulle Tv italiane.
E’ stato forte esserci, trovarsi in mezzo a tutta quella umanità variegatissima e motivata a combattere per difendere un’altra idea degli Stati Uniti. Mi è impossibile pensare che si possa essere razzisti in questo universo per sua natura multietnico: non ho mai visto così tanto mondo intrecciarsi e convivere in un’unica nazione. Latini, afro, cinesi, kazaki, afghani, mongoli, indiani… sono tutti americani. E moltissime sono le coppie miste. Ma questi sono soprattutto i contesti urbani. Dove siamo adesso, in aree rurali che sembrano congelate in un’atmosfera da cow-boy, sono per lo più bianchi, farmers e repubblicani.
Quello che sto attraversando sono grandi contraddizioni, non facili da sbrogliare. Non ci tento nemmeno, né giudico troppo facilmente ciò che vedo. Ho imparato nel viaggio ad accogliere tutto dentro di me: Las Vegas, il più incredibile concentrato di follia umana che si possa immaginare, e i magnifici deserti dove mi incanto e mi perdo in orizzonti infiniti. Ci sarà tempo perché le cose si depositino e trovino un loro posto.
Vi saluto lasciandovi un po’ di immagini dei luoghi meravigliosi che sto visitando.
E buon Halloween, che qui è una cosa seria 😊
Tappe finora:
Canada: Vancouver > Vancouver island > Quadra island > Bella Coola Valley > USA: San Francisco > Las Vegas > Death Valley, Mojave desert > Virgin River Canyon > Hurricane > Zion National Park > Coral pink sand dunes






Pensa che proprio perché non sono un amante degli Stati Uniti ho rinunciato finora alla bellezza della natura, ma mi sa che devo ricredermi!
Cara Cristina, grazie grazie grazie di questo post! Mi chiedevo proprio cosa si provi a viaggiare ora negli Stati Uniti, in questi Stati Uniti di oggi dove la follia sembra prendere potere...ma forse è appunto solo ciò che arriva a noi dalle cronache. Il tuo sguardo mi è prezioso e devo dire mi ridesta un po' di fiducia. E quanta bellezza trapela... buon proseguimento!