Santiago. Perché è un cammino speciale che insegna e trasforma
Devi solo abbandonarti alla strada, nient'altro. Al resto ci pensa lui.
L’ affollato e suggestivo albergue para pelegrinos di Roncisvalle, seconda tappa venendo da Saint-Jean-Pied-de-Port dopo la lunga attraversata della montagna.
Per molti che lo hanno percorso - tutto, a pezzi o anche per un solo tratto - il Cammino di Santiago è un’ esperienza speciale, abbastanza unica. Per me sicuramente lo è stata, direi quasi un’esperienza fondativa, all’origine di un modo di essere e di viaggiare che passo dopo passo mi ha portato al nomadismo e a quella che sono diventata.
Celebro il decennio proprio in questi giorni: una specie di battesimo dell’andare con le mie forze per le strade del mondo. E mi torna la voglia di rifarlo, intero e in solitaria, e so che questa terza volta sarà nuovo.
Ne ho fatti due tratti, gli ultimi 200 km, con arrivo alla cattedrale di Santiago, con un’amica, e i primi 300 km in solitaria, dai Pirenei a Burgos. Mi manca il grande spazio vuoto centrale delle Mesetas, che vorrei percorrere in un nuovo cammino completo. I tratti hanno infatti un senso: la montagna, il deserto, la discesa verso l’oceano.
Sto parlando del Cammino cosiddetto “francese”, il più popolare, di cui qui sopra vedi il tracciato di circa 800 km. Ce ne sono molti altri in Spagna e in Portogallo, con tragitti diversi, e tutti portano a Santiago de Compostela, sede di uno dei più venerati e antichi santuari della cristianità, custode delle spoglie dell’apostolo Giacomo.
Ho conosciuto persone che lo hanno scelto più e più volte nella loro vita, e forse questa è una delle caratteristiche della sua specialità. Il cammino chiama, e si torna per ritrovare un’atmosfera che c’è soltanto lì oppure per ritrovare se stessi in quel flusso che ti porta chiedendoti soltanto di abbandonarti alla strada. Nient’altro, al resto ci pensa lui.
Ho incontrato pellegrini e pellegrine da tutto il mondo e di tutte le età che camminavano proveniendo dalle storie più disparate e con gli obiettivi più diversi, ma quasi mai soltanto per il fitness o come su un trekking qualunque. Per marcare una svolta di vita, dopo gli studi, prima di iniziare un lavoro, per elaborare il lutto di una separazione, per superare una depressione, per incontrare persone e storie, per prendere una decisione difficile, per un atto di fede, per propiziare un evento, per staccare da tutto.
Tu lo hai fatto o ti piacerebbe farlo, e con quale obiettivo?
Santiago ha un potenziale trasformativo, spirituale, che arriva un po’ a tutti, ai credenti e a chi non lo è. Dipende anche soltanto dal modo in cui cammini, che non ho mai più sperimentato in nessun altro cammino che mi è capitato di intraprendere negli anni successivi.
La freccia gialla ti conduce sulla strada giusta, non c’è bisogno di guida, non ti perdi e se sei incerta c’è sempre nei pressi qualcuno a cui chiedere. Cammini e cammini e basta, non hai altro compito che andare avanti seguendo il tuo ritmo. Il cammino francese ha la particolarità di avere numerosissime accoglienze, religiose o pubbliche, ogni 5, 10, 15, 20 kilometri. Ti puoi fermare quando sei stanca, senza programmare, senza prenotare niente, senza prevedere le tappe successive.
Qui si capisce benissimo che cosa vuol dire quando si dice che il percorso conta più dell’obiettivo: non importa quanti chilometri fai, dove arrivi e in quanto tempo, ma soltanto come stai sul Cammino, che cosa ti dà e in che forma ti esprime mentre lo percorri.
Arrivi a volte quasi morta di stanchezza, mangi, dormi e resusciti miracolosamente la mattina dopo, pronta per la nuova giornata che ti aspetta. E’ questo ciclo continuo che trasforma: dopo i primi giorni di rodaggio, il corpo diventa una perfetta macchina per camminare, il respiro si sincronizza con le gambe e la mente si aggancia ai piedi, senza nessun altro progetto che seguire i passi e perdersi nel paesaggio circostante. Tutto è sicuro, le paure svaniscono e la schiena incorpora lo zaino come fosse una parte di sé.
Camminare diventa allora un piacere infinito, che non ti vorresti più fermare. A patto che il bagaglio sia del giusto peso. Volenti o nolenti sul Cammino si impara la leggerezza, se lo zaino è un giogo non reggi e ti devi fermare. Bastano pochissime cose essenziali e con la “regola del tre” - insegnamento fondamentale di Santiago - capisci che puoi stare in giro anni. E così è stato: lo zaino della mia vita nomade è ancora quello del Cammino.
I piedi, poi, per non dolere hanno bisogno di specifiche cure: protetti nella scarpa con calzine senza cuciture, in modo che queste non sfreghino, e lasciati nudi all’aria aperta ad ogni sosta. In questo modo rimangono freschi e continuano imperterriti per giorni e giorni senza vesciche. Provare per credere. Un altro segreto a cui sono debitrice è quello di cambiare le calze mentre si va, appendendole allo zaino ad asciugare con l’immancabile spilla da balia.
Una delle cose più belle del Cammino sono i piccoli spontanei punti di ristoro che trovi di sorpresa lungo la via. Così non devi nemmeno portare troppo cibo. Fidarsi di cosa troverai dietro l’angolo è la parola chiave.
Aprile-maggio è una stagione molto bella per fare il Cammino. In questo periodo si può impiegare l’intero giorno per la tappa successiva, senza paura del caldo - ho perfino incontrato la neve in Galizia - o degli ostelli troppo pieni. L’agosto è invece torrido ed è il cammino affollato dei giovani. Si cammina allora nel buio della mattina, prima dell’alba, per arrivare presto a destinazione e trovare l’ultimo buco per dormire. Per precauzione è meglio portarsi il tappetino, in emergenza nessun albergo pellegrino nega il pavimento - le strutture turistiche si, ma noi non le consideriamo :-)
Ricordo benissimo questa lunga tappa infuocata e l'arrivo in un piccolo e accogliente ostello religioso. La sera si cenò tutti insieme, un rito di messa e candele, e poi la notte in uno stanzone comune. C'era un ragazzo sudcoreano che camminava scalzo, due volte aveva fatto il cammino, avanti e indietro. Completamente scalzo.
Perché sia un pellegrinaggio, un cammino spirituale nel senso più ampio del termine, vanno lasciati perdere gli aspetti turistici, che, come in ogni dove, si sono infiltrati anche qui. Prenotare e organizzare dovrebbero essere ridotti al minimo, in modo da lasciare il più spazio possibile all’andare giorno dopo giorno. Per non parlare del bagaglio trasportato e delle tappe prestabilite dall’agenzia di viaggio: si perde l’opportunità di seguire il proprio ritmo e di imparare dal proprio corpo quanto e che cosa possiamo sostenere. Sarebbe un peccato.
Nel turismo il Cammino non fa il suo mestiere: insegna e trasforma soltanto nella piena libertà dell’andare. Ritagliamo allora il Cammino su di noi e, in base alle proprie forze e possibilità, scegliamo quando andare, quali tratti fare, quanto camminare e con chi: da sole, col nostro compagno, con una amica speciale, con il proprio figlio o figlia, con un gruppetto di amici. E scegliamo perché camminare, la cosa più importante.
Lungo il Cammino si trova di tutto, è un allenamento alla vita. El camino es la vida, si dice, ed è proprio così. Si trova la propria paura e la propria forza, la fiducia e la sfiducia, la solitudine e incontri fortissimi, la pace e il casino, la campagna e la città, il sentiero e l’autostrada, il bosco e la radura, lo sfinimento e la gioia. Si cammina nel bello e nel brutto, e tutto arriva e tutto entra in noi.
L’ultimo giorno, avviandomi sull’ultima tappa per raggiungere Santiago de Compostela, avverto la febbre salire sin dalla mattina appena sveglia. La febbre monta e monta e mi accompagna per tutto il giorno. Sono debole, mi fermo molte volte a riposare, ma tento comunque di arrivare. Dopo quasi 8 ore, stremata, giungo alle porte della città e mi butto nel primo ostello che trovo. Incontro una donna australiana di 70 anni che ha camminato 600 km in tre mesi, mi rassicura, mi cura e mi dà una benefica aspirina. Dormo profondamente fino al giorno dopo. La mattina resuscito ancora una volta, mi è passato tutto e finalmente posso raggiungere la mitica cattedrale.
Non so spiegare questa reazione, è la febbre dell’arrivo, la febbre del cammino, la febbre del viaggio. La catarsi di una nuova vita che è cominciata.
Non posso certo dire di essere un pellegrino. Ma, nell'andare su e giù per l'Europa che amo tanto, sono arrivato almeno un paio di volte a Santiago de Compostela. E, dopo avervi fatto sosta, ed essere entrato nella grande e fastosa Cattedrale (per i miei gusti anche troppo carica, preferendo per mia natura cose più sobrie, quali il romanico e il gotico) ho portato anch'io omaggio all'Apostolo Giacomo... Ma, come un 'vero' devoto dell'antichità, mi sono spinto poi oltre... Sono arrivato a "Finisterre", a qualche decina di chilometri di distanza! Dove, per i pellegrini del Medioevo, là finiva il vero Cammino di Santiago! Un posto unico, magico, di forte spiritualità, di vero raccoglimento; a strapiombo su un mare infinito, dalle grandi e forti energie. Consiglio a chiunque di spingersi fin qui e di andarlo a visitare! È un luogo ricco di pathos; ma bisogna arrivarci preparati, per poter cogliere tutto quello che questo angolo di terra ci può regalare! Vibranti energie arrivano dalla terra, dal sole e dal vento, che vi spira attorno! Io mi sono sentito, all'improvviso, attraversare da questa vibrante energia... Una sensazione unica, irripetibile! Come evoca il suo nome, 'Finis Terrae', un tempo si pensava che lì finisse il mondo; eppoi, oltre, non ci fosse più nulla! Là, davanti allo sterminato Oceano Atlantico, dove sotto s'infrangono roboanti onde, di un mare sempre in tempesta, gli antichi romani vi avevano innalzato un altare al dio Sole. Vi consiglio d'arrivarci di pomeriggio, al calare del sole, quando, con il tramonto, tutto s'intensifica. Avendo, anche con sé, un briciolo di fortuna. Perché qui, da queste parti, non sempre si ha il caldo e il sole... Ma quando dice d'arrivare, in quest'angolo di Galizia, come su tutto il resto del Portogallo, il cielo comincia ad assumere una luminosità unica: di un azzurro intenso, mai visto, quasi blù; dove il sole sembra non tramontare mai. Talvolta, sparisce nei flutti dell'Oceano alle 10-11 di sera, e anche più!
Da quando ero giovane, eppoi fino ad oggi, mi sono messo alla ricerca di tutte le 'nostre' 'Finis Terrae'. Per ritrovare quella sensazione unica, speciale, che avevo lì provato, quando ero ragazzo... E così mi sono spinto a: Finistère, in Bretagna; a Santa Maria di Leuca, in Puglia, dove un tempo si vedevano arrivare le navi di ritorno dalla Terra Santa; a Cabo São Vicente, in Portogallo, l'estrema punta sud-occidentale della Penisola iberica; dove anche lì si vedevano andare e venire le caravelle per le Indie e alla ricerca di nuovi mondi... Anche Cabo São Vicente, è un luogo davvero speciale. È su un faraglione, a picco sull'Oceano, al termine di un cammino di pellegrini: d'incommensurabile bellezza paesaggistica. S'innesta su uno dei tanti percorsi diretti a Santiago di Compostela. Se pensate di progettare un cammino verso Santiago, prendete in considerazione di farlo partire dal 'cuore' della Francia, passando attraverso l'Alvernia (Auvernie, francese). Con al centro l'affascinante Le Puy-en-Voley, già allora su uno dei più importanti cammini di Francia. È un territorio ricco di fascino, a sette/ottocento chilometri da Roncisvalle: caratterizzato da vulcani spenti, da dolci colline, da un'infinità di ponti, chiese romaniche, e cattedrali di gran fascino. Lungo il suo cammino, vedi passare gente con il bastone del pellegrino, con al collo anche la conchiglia di Saint Jaques... Tutte queste terre hanno un fascino unico; ma nessuno mi ha ridato più quella 'energia' che ho avuto da "Finisterre"! Buon viaggio a tutti
Che bel racconto, Cristina. Mi hai riportato a vent'anni fa, quando feci il cammino di Santiago in bicicletta, insieme ad altre 24 persone amiche. Rimane uno dei viaggi più belli che abbia mai fatto.