Com'è la vita in un piccolo borgo italiano
Vivo e lavoro viaggiando. Lo racconto nei Pensieri Nomadi ogni settimana.
Stasera, il golfo dei Poeti visto dal mio balcone.
Da circa un mese vivo in Liguria, provincia di Spezia. Prima a San Terenzo, nella meravigliosa casa di una amica, e ora a Pitelli, arrampicato sulla collina, sopra il golfo dei Poeti, meno famoso del suo vicino e forse per questo più attrattivo per me. Più popolare, romantico ed autentico, e più abbordabile: la nostra casetta in affitto, messa bene e ristrutturata, costa un terzo rispetto a quelle sotto.
Da qualche anno non passavo un inverno in Italia e mi piace stare qui. La città non fa più per me. Non solo perché è caotica e inquinata ma perché sono sempre meno interessata alle sue proposte, cerco piuttosto un rapporto intimo coi territori e le persone, il più possibile ravvicinato, soprattutto se decido di passarci un po’ di tempo.
Se fossi all’estero, definirei Pitelli un luogo “marginale”, ne ho parlato tante volte nei Pensieri Nomadi. Ossia uno di quei posti lontani dai circuiti turistici principali, in cui i visitatori frettolosi non vanno mai, e che io invece amo visitare molto più che le località rinomate, affollate e spesso snaturate. Sono luoghi che hnno una loro bellezza nascosta e timida, che bisogna proprio andarci. Non sono loro a venire da te.
Li cerco sempre in viaggio, e allora perché non qui?
Mi rendo conto che percepisco e abito questo borgo con la prospettiva della viaggiatrice. In una mia personale geografia, Pitelli è gemellato ad altri paesi e villaggi sconosciuti e remoti in cui ho avuto la ventura di transitare in giro per il mondo, da Uchiko, sud Giappone, a Pak Beng, Laos.
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I dati parlano di 1200 abitanti ma in effetti non si capisce dove si nascondono, metà delle persiane sono chiuse e la gente in giro è pochissima. C’è una scuola però, un bel segno di vita che in altri paesi è scomparso. Pitelli si anima la mattina, ha un emporio, una tabaccheria, una farmacia e un Arci: ce ne sono di bellissimi da queste parti, mi piace andarci perché tira un’aria d’altri tempi che ormai c’è soltanto in questi posti.
All’emporio “Sapori e Valori” cominciano a riconoscermi. Oggi ho assaggiato il tradizionale tortino di erbi fatto dalla mamma, una delle ultime abitanti che sa riconoscere e cucinare le piante selvatiche, e ho lasciato il mio numero di telefono: se arriva la ricotta di pecora me ne tengono via un pezzo e mi avvisano. Fantastiche le signore, fanno lo stesso con una sfilza di contatti.
La popolazione è fatta di anziani e immigrati, uno strano connubio che è diventato molto comune nei paesi spopolati. Qui vicino a me c’è una famiglia parlante spagnolo e sull’autobus incontro le più varie nazionalità in tuta blu. Indiani, cingalesi, pakistani, arabi, latinoamericani sono i lavoratori della Fincantieri, uno dei più grandi stabilimenti italiani - fondato addirittura dal lungimirante Cavour - che proprio in fondo alla scalinata di Pitelli, a Muggiano, produce navi da guerra, sottomarini e immensi yacht per i ricchi.
All’ Arci di Solaro un cartello parla chiaro: a pranzo si servono per primi gli operai. Gli altri aspettano.
Devo scoprire se in paese ci sono lavoratori da remoto come me: certo è che la rete è debole e ballerina. Ancora una volta oggi ho dovuto mettere il cellulare fuori sul balcone per spedire i pdf. Sarebbero borghi adattissimi ai nomadi digitali, che potrebbero portare popolazione e magari un valore aggiunto, ma troppo spesso in Italia ho incontrato infrastrutture carenti, siamo molto indietro da questo punto di vista.
Siamo però sempre un passo avanti nella bellezza. Perché se vai fuori e poi torni, capisci il valore che c’è qui: l’insieme di antico, tradizioni, cibo, natura , mare, clima mite, sicurezza, gente accogliente è piuttosto unico.
Certe atmosfere le abbiamo soltanto noi, e sono quelle che fanno impazzire gli stranieri. Il programma televisivo preferito di una famiglia giapponese da cui sono stata ospite era una trasmissione sui “segreti” dei borghi italiani. Sapevano tutti i nomi, da nord a sud, sicuramente c’era anche Pitelli.
Sotto la mia finestra: l’incantevole terrazzo circondato dalla macchia.
Bisogna saperci stare in questi posti. Ti deve piacere la solitudine e non ti deve importare molto della vita mondana, perché qui non c’è niente e in inverno alle 5 è già notte. Io lavoro e cammino, e lo stesso il mio compagno. Non abbiamo mezzi, solo piedi e autobus. Ogni giorno scopriamo un sentiero, una viuzza, un borgo nei dintorni. Sono tornata alle Cinque Terre: in un giorno feriale di fine novembre Riomaggiore è un paradiso. Ormai bisogna andare controcorrente per conoscere il mondo, scansando l’inferno del sovraturismo estivo in ogni dove, dalla Liguria all’Indonesia.
Considero un privilegio essere qui adesso, non ci starei in estate. Sono contenta di avere costruito una esistenza che mi permette di vivere il mare in inverno. Non so se sia il cambiamento climatico, ma la stagione è sorprendente: il sole è ancora caldissimo e oggi al mare i pitellesi facevano il bagno.
Baia Blu, si arriva a piedi per un bel sentierino.
Oh sì! Tantissimi borghi italiani stanno ragionando su questo nomadismo lento, che spesso attrae soprattutto stranieri, per rivitalizzarsi un poco. Il bello è quando sono gli stessi nomadi di ritorno al paesello natìo ad attrezzarsi perché la loro piccola realtà diventi un'attrattiva per chi cerchi pace e bellezza, ma anche le infrastrutture per lavorare (come co-working e WiFi). Noi abbiamo già avuto delle bellissime esperienze con due comuni abruzzesi, Palena e Colledimezzo, dove ci sono delle realtà interessanti.
Ciao Cristina, in qualche modo i nostri movimenti hanno qualcosa di simmetrico: ti scrivo da Camatta, frazione di Pavullo nel Frignano, sull'Appennino Modenese. Ci abitava mia nonna, e mi sono rifugiata qui di ritorno dall'Asia perché in città non ce la potevo fare. Non c'è il mare, ma è nella valle del Monte Cimone, e ogni tanto mi sembra il monte Fuji. Ora ho il telefono in equilibrio sul cornicione, ha nevicato fortissimo il wi-fi non va. Un abbraccio!