31 dicembre 2023. Sono in Laos da pochi giorni e mi trovo a Vang Vieng, un piccolo villaggio in mezzo alle più famose Ventiane e Luang Prabang. Ci si arriva per una strada piena di buche e si rimane sorpresi da quanti turisti, locali, cinesi, occidentali, ci siano in questo luogo, che sino a qualche anno fa era un ritrovo remoto di alternativi.
Il taxi collettivo ci lascia appena fuori dal paese, in un parcheggio polveroso e desolato, e imboccando la via principale l’impressione non è un granché. Ci sono agenzie per le gite da fare lungo il fiume, una quantità di baracchini tutti uguali che vendono cibo di strada, e guest houses. Le poverissime case degli abitanti sono un po’ nascoste; i pavimenti di terra e i grandi pentoloni di cibo a cuocere sulle braci fuori dalla porta stridono con gli alloggi per i viaggiatori, che vogliono dare una parvenza di benessere.
Il nostro è in fondo al villaggio, l’ho scelto ai margini sperando di trovarvi più autenticità. Non è proprio così, ma imparerò nel viaggio a scoprire che il Laos è una miscela di tradizioni sopravvissute in una modernità aggressiva, tipicamente asiatica, e che questa è la sua attuale, concreta autenticità. Ogni tempo ha la sua autenticità, cercare soltanto il passato è nostalgia di un mondo andato che non fa capire il presente.
La camera è al primo piano di uno chalet in legno, con un giardino interno, l’atmosfera è accogliente e i ragazzi che la gestiscono - non sono i proprietari, qui le persone non possiedono niente - sono gentili e sorridenti, come spesso accade. La gente è bella, anche più dei luoghi.
Tutte quelle buche lungo la strada mi hanno messo la nausea e ho bisogno di fare due passi. Sono impaziente di scoprire se quell’apparenza nasconde qualcosa di interessante. Sono fortunata: girato l’angolo c’è un tempio buddhista e un vivace via vai di monaci indaffarati in grandi preparativi.
E’ difficile capire che cosa stiano facendo, anche volendo comunicare quasi nessuno parla inglese, ma io me ne resto in disparte, non voglio disturbare il loro lavoro. E’ uno scrupolo che mi faccio sempre: osservo e fotografo con discrezione per non essere invadente con la mia presenza.
Stanno allestendo per una cerimonia e io, soprannominata dal mio compagno “acchiappa-cerimonie”, non vedo l’ora di sapere di che cosa si tratta. E di partecipare, ovviamente.
Dopo la cenetta dell’ultimo dell’ anno, tornando indietro nel buio della sera, intercetto una voce collettiva che sale dal tempio. La seguo, salgo le scale, e nell’ampio spazio aperto fra le colonne decine di uomini, donne e bambini vestiti di bianco stanno pregando in una veglia di pace che durerà tutta la notte. Allora, mi dico, anche qui è fine anno, in qualche modo. Mi siedo in un angolo a gambe incrociate e mi abbandono alla cantilena dei monaci, nella luce suggestiva delle candele.
C’è una particolarità, che ritroverò in altre celebrazioni. Le persone sono collegate fra loro da fili bianchi che scendono dal tetto e si agganciano ai polsi, passando da un praticante all’altro. E’ un simbolo di unione e di comunità, insieme delicato e forte. Ognuno ha portato offerte di acqua e cibo, come si usa nel buddhismo Theravada1, praticato in Laos come religione ufficiale.
Mi sento avvolta da una energia umana che mi commuove. Io non appartengo a nessuna religione, ma mi emoziona vedere le forme, le più armoniose e sorprendentemente diverse, che gli esseri umani hanno creato per stabilire un legame con il divino, l’invisibile, il mistero, come si voglia chiamarlo. E questi fili mi dicono che non si prega da soli e per se stessi ma insieme e per tutti.
1 gennaio 2024. La mattina di capodanno mi risvegliano i canti. Il mio compagno dorme ancora, io mangio qualcosa e scendo in fretta: capisco che sono ancora tutti lì e non mi voglio perdere il seguito.
Anche questa volta non capisco che cosa stiano facendo, non ci sono guide o altri turisti a cui chiedere. Ci sono i monaci sotto i loro ombrellini decorati di banconote - fa impressione vedere gli ornamenti di soldi ma il denaro in Oriente è simbolo di prosperità e fortuna - e un corteo di donne, vestite a festa.
Sono arrivata appena in tempo. Si stanno avviando lungo un sentiero dietro il tempio; mi accodo cercando di non farmi troppo notare, ma è quasi impossibile dato che sono chiaramente l’unica estranea. Mi sorridono, ed è un lasciapassare.
I monaci più giovani trasportano uccelli nelle gabbie e catini di pesci. Ma che cosa mai faranno con questi animali vivi? La mia curiosità aumenta esponenzialmente. Tra danze, musica eseguita con piccole percussioni e recitazioni di formule religiose, arriviamo al fiume Nam Song circondato dalla campagna e da una corona di montagne.
Il posto è bello, altroché, mai fermarsi alla prima impressione, né per le persone né per i luoghi.
Lasciamo le scarpe sulla riva e camminiamo per raggiungere il centro del fiume. In questa stagione le sue acque sono basse, si può attraversare a piedi, in estate verremmo travolti. Ci bagniamo un po’, vedo che gli altri sono disinvolti e voglio esserlo anch’io.
Monaci e laici aprono le gabbie, gli uccelli volano via, e vuotano i secchi di pesci, restituiti alla corrente. Qualcuno versa acqua nel fiume dalla sua personale bottiglia, in segno di offerta e ricongiungimento. Le mani si immergono e si alzano al cielo. Un potente rito di liberazione collettiva. Rimango attonita.
Il primo giorno del nuovo anno inizia con un atto di liberazione, non soltanto per gli umani ma per tutti gli esseri, come prescrive il buddhismo.
E io, che cosa posso liberare, mi chiedo? Me stessa, posso liberare me stessa, affidando una parte di me al cielo e una parte all’acqua. Sono anch’io uccello e pesce, non dovrò mai più dimenticarlo. Scatto una foto e mi unisco al ringraziamento.
Se vuoi vedere un video, clicca qui: cerimonia di liberazione.
Liberati, torniamo indietro. Saranno si e no le 10 e ci aspetta un pentolone di zuppa preparato dalle donne che sono rimaste al tempio. Altre cerimonie si susseguiranno per l’intera giornata. Nel mio battesimo del Laos imparo a conoscere che qui si celebra sempre e che il tempio è un luogo di vita e di passaggio, non separato dalla quotidianità.
Riesco finalmente a uscire dalla timidezza, e anche le donne, che mi hanno visto seguire tutta la celebrazione. Qualcuno parla inglese, e posso avere qualche informazione su ciò che ho appena vissuto. Mi piace di più così, spesso viaggiando mi sono accorta che sapere le cose prima costruisce un filtro che rende le esperienze meno immediate.
Mi invitano a condividere il pasto ma devo ancora abituarmi a mangiare brodo, verdure e spaghetti di riso alla mattina. Quando sarò un po’ meno occidentale, mi fermerò. Ci salutiamo e torno dal mio ragazzo piena di cose da raccontare.
Per una breve e semplice introduzione al buddhismo Theravada puoi leggere qui il discorso del monaco Ajahn Amaro, che ne è un importante esponente. Il testo è tratto dal sito del monastero buddista italiano Santacittarama collegato alla stessa tradizione. E’ un posto interessante, situato in Sabina, Lazio, anche per partecipare a ritiri di uno o più giorni. Se sei interessata o interessato a queste pratiche, ti consiglio di dare un’occhiata.
Bellissimo, poi Van Vieng è troppo carino
Cara Cristina, buon inizio d'anno! Il tuo racconto mi ha commosso, grazie 🙏💚