Siviglia. Spesso viaggiando lavoro nella cucina dell’ostello.
Oggi vi racconto un po’ la mia esperienza intrapresa circa cinque anni fa e condotta nelle più svariate forme e luoghi, come si conviene a una moderna nomade che, grazie al suo mestiere portatile, può spostarsi tra un wifi e l’altro del pianeta a vivere, lavorare, viaggiare.
Ogni nomade è nomade a modo suo. A me piace vivere itinerante
Ci sono molti modi di essere nomade oggi - spostarsi tutto l’anno o soltanto alcuni mesi, viaggiare continuamente oppure soggiornare in posti diversi per periodi medio-lunghi - e numerose professioni che si possono svolgere in tutto o in parte da remoto. Io mediamente non passo più di un mese in un luogo, sia in Italia sia all’estero. Mi piace vivere itinerante perché il movimento mi dà molta energia e soddisfa la mia curiosità. In questi primi quattro mesi dell’anno sono stata in un borgo ligure, a Pitelli, poi sono volata in Andalusia e da lì in Marocco, e oggi mi trovo a Milano, la mia città di origine, dove torno periodicamente per gli affetti cari.
Ho imparato ad adattare il mio lavoro di sempre al nomadismo, svolgendo interamente da remoto le mansioni di editor, cioè di scrittura, revisione e correzione di testi per la scuola e materiali digitali didattici. L’ho fatto per 25 anni dal posto fisso, fino alle dimissioni che ho dato nel 2016, e continuo a farlo oggi come libera professionista, cercando di volta in volta un angolo in cui isolarmi con il mio pc per portare avanti le scadenze stabilite con la casa editrice che mi commissiona i progetti.
Il lavoro cambia il viaggio e il viaggio cambia il lavoro
Il lavoro è diventato il mio costante compagno di avventure. Lavoro dal mare, dai monti, dal deserto, dall'atollo, dalla città, dal villaggio rurale. A volte mi pesa, mi affatica, ma è la condizione che rende sostenibile la scelta che ho fatto, e non ne posso fare a meno. Ci sono fasi di produzione più o meno intense, ma cerco di non farmi condizionare dalla quantità di cose da fare. Io vado e il lavoro viene con me, poco o tanto che sia. Vorrà dire che se necessario passerò più tempo - diurno o serale - al tavolo e visiterò qualcosa in meno; oppure, se sono fortunata, avrò intere giornate da trascorrere alla scoperta dell’ambiente e delle culture che mi capita di incontrare.
Il viaggio beneficia del lavoro perché questo ne rallenta il ritmo, a volte lo determina, tenendo a freno la mia smania di andare. Le tappe si dilatano per far spazio al lavoro - aggiungo man mano giorni di permanenza finché ne ho bisogno -, e questo mi consente di immergermi là dove sono, di sentirmi meno turista e parte di un “mondo del lavoro”, sebbene itinerante.
Ma è anche il viaggio a cambiare il lavoro, perché il lavoro smette di essere fine a se stesso e si manifesta pienamente come mezzo, come strumento di sostegno alla vita. Sottolineo questo aspetto perché quando ero impiegata in ufficio a volte sentivo di perdere il senso di quello che facevo, la connessione salutare tra vita e lavoro, dando la priorità a una scadenza dietro l’altra e perdendo di vista l’obiettivo di tutta quella fatica, ovvero la qualità dell’esistenza.
L’equilibrio delle risorse e l'essenzialità delle scelte
Ho sempre avuto grande attenzione per le risorse, non avendone molte a disposizione (con l’editoria non si diventa certo ricchi). Sono una che annota e controlla scrupolosamente le entrate e le uscite per essere sicura di non fare il passo più lungo della gamba, ma non sono attaccata ai soldi e quindi li spendo senza remore per ciò che mi interessa. Ma sempre con parsimonia e facendo scelte precise rispetto a dove risparmiare e a che cosa destinare il reddito.
Ho ridotto gli acquisti, i miei abiti sono a misura di zaino, raramente compro qualcosa in più, semmai sostituisco. Non uso praticamente nessuno servizio commerciale (palestra, gite o attività a pagamento, noleggio auto … niente) e ho ridotto all’osso anche le spese fisse.
Dal 2021 con il mio compagno non abbiamo più una casa stabile. A Milano veniamo per trovare soprattutto le nostre mamme, e qui stiamo con loro, è un bel modo, pratico e affettivo, di stare vicino. Un’altra casa in città sarebbe inutile e costosa e infatti la mia l’ho venduta liberando dopo tanti anni preziose risorse intrappolate nel mutuo. Per il resto mi muovo tra affitti brevi, ospitalità presso gli amici, ostelli e varie tipologie di alloggi economici nelle diverse parti del mondo - mi piacciono le guest houses gestite da locali (così come prendere i bus o i mezzi locali). In Asia, ad esempio, dove siamo stati a lungo di recente, si può soggiornare con poca spesa anche in hotel.
Ho viaggiato e lavorato in questo modo in parti diverse di mondo, Svezia, Canarie, Polinesia Francese, Australia e Nuova Zelanda, Indonesia e Sud-Est asiatico e nei mesi scorsi in Spagna e Marocco. Non frequento i coworking - ne ho provato uno a Bali, giusto perché è il regno dei nomadi digitali; in genere preferisco appartarmi nell’alloggio dove sono, concentrarmi per finire in fretta e poi uscire a godermi il paesaggio e guardare la gente. Molti altri però si organizzano diversamente, come fa
che ama i coworking, «che sono quei luoghi dove si respira quella sensazione che oggi sono qui, domani lì».Solitudine, relazioni preziose, sradicamento sociale
Nella mia esperienza c’è questa triade. La solitudine è sorella del movimento itinerante. Se scegli questa vita ti deve piacere uno stato di solitudine piuttosto frequente, sebbene sicuramente non sia l’unica via. Sempre di più infatti nelle località maggiormente frequentate dai nomadi digitali si costituiscono gruppi per conoscersi o per svolgere insieme diverse attività. L’associazione
ne parla in questo bell’articolo: Quando i ND affrontano la solitudine e scoprono il calore della tribù.Io amo la solitudine e ci sto bene. Ci trovo creatività, pienezza di esperienza, contatto con me stessa e con il mondo. Ed è però proprio da questo spazio di libertà che coltivo le relazioni più importanti e vere. Anche quella con il mio compagno, ne ho parlato qui di recente.
Non perdersi nel viaggio e non perdere di vista i rapporti umani - tanto quelli che lasci quando parti, quanto quelli che puoi tessere viaggiando - è la condizione per cui la solitudine non diventa isolamento. E in questo contesto si inseriscono anche i rapporti lavorativi, che cerco con altrettanto impegno di mantenere vivi, fluidi, rispettosi e di fiducia reciproca. Il patrimonio di relazioni significative è la più grande ricchezza, e non certo soltanto nella vita di una nomade digitale.
Un prezzo che si paga è una sorta di sradicamento sociale, ossia muovendoti viene meno un contesto stabile e il relativo senso di appartenenza a un territorio e a una comunità. Nella mia vita precedente ho partecipato a contesti molto strutturati - l’università, il lavoro in casa editrice, l’attività politica, il volontariato sociale - e oggi non sento ancora l’esigenza di fermarmi per ricostituirne uno nuovo. Mi sento farfalla e desidero per ora continuare a volare.
A modo mio però un mondo l’ho trovato: sono questi Pensieri Nomadi. Che intendo prima di tutto come una zona di condivisione, un frammento di società itinerante dove trovo conforto, scambio, affinità elettive. E di questi tempi è tantissimo. Grazie sempre, dunque, a tutti coloro che mi accompagnano nel viaggio.
Altri articoli sui nomadismo digitale:
Come organizzare il lavoro in viaggio
Dopo aver letto la tua newsletter io e Silvia ne parlavamo 😊 Io sono già da qualche tempo in un modus di viaggiare cambiato parecchio dagli ultimi anni. Ora sono abbastanza fermo e viaggio solo (purtroppo) per lavoro. Ma è sempre più intenso il desiderio di trovare il modo di star fuori qualche mese, fissi in qualche luogo da cui lavorate e poi rientrare qualche mese in Italia. Il problema è sempre quello... capire come gestire affitti e tutto il resto e non pagare doppio 😂 Fare un controllo oculato delle spese ecc... Questo 2025 ormai l'ho organizzato, ma per il prossimo anno le idee di maggior "nomadismo" sono già lì che fermentano.
Quando penso all' eventualità di spostarmi per qualche settimana o mese, per provare ad abitare me stessa in primis ma anche una diversa esperienza dello spazio, la cosa che mi preoccupa di più non sono tanto le relazioni (sono quel tipo di persona che sente la mancanza degli altri dopo mesi), ma i rapporti lavorativi. Nel mio lavoro sento che mostrare presenza e supporto fa la differenza, sia per la qualità del lavoro (per lo meno per i progetti che coinvolgono più persone) ma anche per la fiducia che mi viene riposta. Insomma la mia paura non è di sentire la mancanza del lavoro, ma che il lavoro non senta la mia mancanza. Ma forse è solo perché sono "drogata" da quindici anni in azienda. :)